Cultura e Spettacoli

Nei meandri oscuri di Istanbul, in fuga da Oriente e Occidente

Giuseppe Conte racconta, senza sconti, le peripezie, anche erotiche, di un intellettuale alla ricerca del senso del presente

Nei meandri oscuri di Istanbul, in fuga da Oriente e Occidente

In L'Amour et l'Occident, più di settant'anni fa, Denis de Rougemont elaborò una sua personale quanto fortunata tesi, la cultura occidentale fondata sull'identificazione di amore e morte, che aveva dalla sua una poetica ricostruzione letteraria dello «spirito» a essa sotteso: l'amore-passione, identità, vertigine, abbandono e l'amore-istituzione, ortodossia, leggi, fede, il loro contrasto aspro eppure fecondo, materialismo e misticismo come fratelli separati, ma anche conciliazione degli opposti, messa in tensione dei poli contrari. Luigi Santucci che per primo la tradusse e la presentò al pubblico italiano, raccontò di come si fosse imbattuto in quel saggio durante gli anni bui della Seconda guerra mondiale: «C'era in essa il noùmeno, il prezioso miele di cui avevamo perduto il sapore: la cultura, il libero e inebriante esercizio del talento, l'Europa e l'Occidente, appunto, per cui ci si batteva. Il saggio di de Rougemont mi divenne dunque l'immagine d'una città alta di pensiero, con le sue cuspidi e cattedrali, che sconfiggeva l'orizzonte corrusco e fangoso della guerra, una Terra promessa, un coraggio. Nei momenti di panico e di resa interiore (che per un pavido intellettuale furono tanti e troppi), la forza olimpica e insieme provocante, colloquiale e estrosa di de Rougemont fu per me durante quei mesi non so quale malleveria dello spirito sulla violenza, un non praevalebunt».

Non praevalebunt è la risposta che nel nuovo romanzo di Giuseppe Conte, Sesso e Apocalisse a Istanbul (Giunti, pagg. 238, euro 16), Giuseppe Maria Rizzi, detto Riz, direttore del locale Istituto Italiano di Cultura, dà al vecchio amico Giona Castelli all'uscita dalla Basilica di Sant'Antonio, in Istikal Caddesi, e rimanda proprio all'impressione suscitata in Santucci dal saggio di de Rougemont, più che al classico e famoso passo del Vangelo di Matteo. «Pavidi intellettuali», riparati dai libri e in fuga dalle miserie del mondo, Riz e Giona non sono due religiosi e, specie il secondo, nemmeno due uomini di fede: peccatori incalliti, secondo la morale cattolica, uno con la fissa del sesso maschile, l'altro di quello femminile, fanno parte di quell'edonismo-erotismo occidentale di matrice pagana più che cristiana che però dell'Occidente è elemento non secondario: «Il sesso, il fallo, quanti libri aveva letto Giona Castelli che ne parlavano: il Priapo che rende fertili gli orti, il Pan che si avvita nella sua danza oscena, il Satiro che insegue la ninfa, il mistero del mondo, l'albero della vita, il gonfalone del cosmo, la primavera, la rinascita, il fuoco, il vento, il polline, l'erba, l'onda, l'unicorno, il delfino. Uomini più saggi di noi gli avevano dedicato processioni, canti, preghiere...».

Eppure, Giona sacrificherà se stesso per salvare non solo e non tanto le persone che ama, quanto l'idea che quell'amore permette, «il prezioso miele di cui avevamo perduto il sapore, l'Europa e l'Occidente» evocati dal Santucci lettore di de Rougemont.

Costruito come un giallo, l'omicidio di un «pappone» che sa di esecuzione rituale, due intellettuali, un turco e un arabo, assassinati dentro casa non si sa se per motivi politici, religiosi, passionali, un terzo, lo stesso Giona Castelli, che essendo stato con loro la sera prima della morte, sente addensarsi intorno a sé una minaccia sconosciuta, Sesso e Apocalisse a Istanbul è il più ambizioso dei romanzi di Conte nel contrapporre un Occidente apparentemente debosciato, dedito soltanto alla ricerca del piacere, a un Oriente brutale nella sua ansia di purezza. Le sue torri gemelle Giona le ha vissute il giorno in cui la sua libreria ha chiuso, unica attività lavorativa che, figlio di avvocati, era riuscito a mettere su con l'aiuto paterno e nella quale via via ha prosciugato tutti i risparmi ereditati. L'ultimo libro che ha venduto prima di dichiararsi sconfitto è stato Sottomissione di Houllebecq e questo ormai è il suo stato d'animo: non ha più dei né idee, non crede in Cristo, non ha mai creduto in Marx, l'unica religione che è ancora disposto a praticare è quella sessuale, ma è un eros che vira al nero nel suo sottomettersi, anche qui, alle voglie e ai capricci della sua amante, borghese e insoddisfatta moglie di un senatore progressista e tangentaro.

Istanbul, sotto questo punto di vista, dovrebbe sancire un sogno di sesso e di trasgressione: è la città «che aveva conosciuto meglio di qualunque altra città al mondo cos'erano grandezza e bellezza, ma anche dominio, ricchezza, sopraffazione, sfruttamento. Era lì tra Europa e Asia, prendendo il meglio e il peggio di entrambe». Fa dunque parte di un immaginario che certo fondamentalismo islamico vorrebbe far dimenticare sradicandolo, ma che per l'intellettuale Giona è invece la componente più importante: i racconti voluttuosi delle Mille e una notte, le poesie di Rumi e il sufismo, quelle di Nazim Hikmet e di Adonis... È un nuotare solitario e contro corrente il suo, perché il piacere ormai non abita più qui.

Scritto con un linguaggio duro quanto esplicito, corretto con una sprezzatura ironica che lo salva dal pansessualismo fine a se stesso, il romanzo di Conte racconta le angosce dell'Occidente e i meandri oscuri di un Oriente in cerca di riscatto, due realtà in crisi che dalla decadenza non sanno uscire se non affondandovi dentro oppure negandosi alla radice.

Racconta però anche l'imprevedibile salvezza che può nascere dal sacrificio quando si fa fedeltà alle proprie eresie, al loro carattere più profondo e più mitico, quelle che fanno della cultura di una civiltà un palinsesto dove il socialmente rimosso ritorna per vie inconsce e continua a vivere, l'Eros che si trasfigura e si fa eroismo d'amore.

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