Non solo fiori Dimmi che giardino hai e ti dirò chi sei

Non solo fiori Dimmi che giardino hai e ti dirò chi sei

«In principio era il giardino». Sembra il modo più efficace per sintetizzare il saggio dello studioso Robert Pogue Harrison, Giardini. Riflessioni sulla condizione umana (Fazi, pagg. 254, euro 20). Non si pensi a uno studio di botanica. Harrison costruisce il suo percorso filosofico facendo del giardino lo spazio in cui le virtù si seminano, si curano, si raccolgono. Il primo dei giardini non può che essere quello della Genesi. Ma Harrison non dà di quel Libro una lettura teologica.

Al contrario di estov, il quale credeva che con la cacciata dall'Eden l'essere umano fosse entrato in uno stato di necessità (cioè di colpa) dalla quale tutta la storia del pensiero non era mai riuscita a liberarsi, Harrison crede che quell'episodio sia stata la nostra possibilità di creare l'essere. Per questo vede in Eva (non in Adamo) la nostra progenitrice, la quale, con il suo atto «trasgressivo» e «materno», «ha dato vita al sé umano mortale che realizza le sue potenzialità nel tempo, attraverso il lavoro, la procreazione, l'arte o la contemplazione delle cose divine». Allora, il «problema» che Harrison rintraccia nell'Eden è quello di non avere alcun rapporto con la realtà. Per questo la sua storia dei giardini è sostanzialmente una storia dell'umanesimo. I giardini coltivati dall'uomo, per quanto richiamino quello perduto e primo, non sono propriamente delle imitazioni. Se imitassero, avrebbero un rapporto con la verità, anche solo suggerendola. Piuttosto, sono gli spazi in cui si coltiva la felicità (più umana e umanistica della verità). Per questo qui ci troviamo, ad esempio, a sostare nel giardino di Epicuro che nei «tempi bui», fa «spazio all'umano in mezzo all'inferno dandogli un terreno in cui crescere». O nei giardini sulla collina di Fiesole in cui Boccaccio ambientò il Decameron facendo rifugiare i suoi personaggi dall'inferno della peste che devastava Firenze. Non un luogo fuori dal mondo pur isolato, ogni giardino lascia aperto uno spazio al reale.

Né uno spazio di oblio del mondo («I giardini sono vitali in quanto aprono il loro spazio chiuso alla storia»), ma uno in cui l'uomo cerca un ordine nel suo rapporto con le cose, con se stesso e con la natura; insomma, di educarsi alla vita.

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