Cultura e Spettacoli

Premiato Matt Dillon "Il vero cinema sa infrangere le regole"

L'attore ritira il Pardo e annuncia un nuovo film da regista: "Sarà sulla musica che amo"

Premiato Matt Dillon "Il vero cinema sa infrangere le regole"

Locarno. Dai poster nelle camerette delle teenager degli anni Ottanta, Matt Dillon è sceso da un pezzo. Forse anche perché loro, le ragazzine di allora, oggi sono donne fatte e finite, di quelle che non dimenticano quel volto che, dai muri della loro stanzetta, le ha sorvegliate notte e giorno. «Non ho l'età per vincere un premio alla carriera. A ventitré anni non si vincono riconoscimenti che hanno il sapore della pensione Vabbè, scherzavo. Non ne ho più di 23, lo ammetto. Però per il Pardo mi sento un po' giovane». Sperando che il permaloso felino non giochi qualche graffiante tiro dei suoi - chi se ne è burlato è finito maluccio - il ragazzo della 56ª strada ieri sera è stato premiato in una piazza Grande a lui familiare. A Locarno era già stato nel 1995 con Gus Van Sant per Da morire in cui era il marito sfortunato di Nicole Kidman e la vittima del killer Joaquin Phoenix, aiutato dall'amico Casey Affleck.

«Non è piaggeria ma Locarno è uno dei festival più importanti del mondo. La piazza fa impressione». Dillon gioca con il passato. Si gingilla. Ringrazia che la sua prima e unica regia, City of ghosts, sia riproposta in pellicola 35 mm e non in digitale. Alla faccia del presente e pure del futuro. Sembra essere rimasto là, ciondoloni tra gli anni '80 e '90, e l'oggi non gli appartenga. Invece. Invece è alle porte la sua seconda volta dietro la macchina da presa, stavolta per un documentario incentrato sulla musica. Il giovane non più giovane 23enne Matt Dillon ne è appassionato. «Mi piace tutta, anche se ho le mie preferenze. Ma non saprei dire per quale motivo. In fondo chi può spiegare perché gli piace il gelato alla vaniglia?». L'attenzione sarà dedicata ai ritmi latino-americani con particolare cura per quelli cubani. «A più riprese mi è stato chiesto se vengo da quelle parti. Mi tocca negare». È un metropolitano dell'area di New York con origini irlandesi. Non ama il remoto West. E quando lascia la Grande Mela non va a Los Angeles ma a Roma. «Non sono di quelli che odiano Hollywood. Lì sono stati prodotti i maggiori capolavori del cinema, anche se oggi non li si vede più nel buio magico della sala ma sul piccolo schermo di computer e tv tra piattaforme e streaming».

Rieccolo il futuro, stavolta della settima arte. Quello che oggi si fatica a distinguere. «Non morirà. Certo si riparte da zero. Il covid ha bloccato tutto ma serve nuovo slancio e maggiore energia. Li percepisco e sono ottimista». Il giovane Matt degli anni Ottanta ha fiducia nella creatività e nella brillante ginnastica della fantasia. «Non sono mai stato un grande nella gestione della logistica. Preferisco le risorse umane. Per questo mi trovo bene a dirigere gli attori, anche se amo lasciare loro libertà d'azione».

Freedom, oh freedom. Era una canzone, ma è pure un argomento che non smette di appassionare. Far parlare. Litigare. «Artisticamente, libertà è rompere le regole che, nella maggior parte delle volte, sono fatte per essere superate. Oltrepassare il limite non significa andare fuori legge ma cercare nuove strade e forme di comunicazione diverse. Perché questo avvenga, serve però un contesto nel quale muoversi».

Un teorema che sembra descrivere Dennis Hopper, il regista di Easy rider che con Matt Dillon ha condiviso il set di Rusty il selvaggio dove era suo padre e forse, in un certo senso, suo padre lo è stato davvero. Sempre artisticamente parlando. «Dennis era un maestro. È stato lui a raccontarmi il vero James Dean. Un genio. È stato lui a insegnarmi che il cinema è arte e vita». Se n'è andato troppo presto per un male incurabile ma è rimasto nella memoria del presente. Un innovatore. «È stato ieri quello che è Lars von Trier oggi. Uno che non ha paura di cambiare». La casa di Jack, storia di un Dillon killer, presentato nel 2018 a Cannes e giudicato da molti eccessivo e irricevibile, è l'ultimo esempio di un modo di infrangere le norme. Come a sua volta lo era stato anche Francis Ford Coppola, con il quale quel ragazzo della 56ª strada aveva litigato per una fanciulla.

Tiri mancini per un mancino.

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