Massimiliano Parente
Aproposito di realtà virtuale: tra i film culto di fantascienza sul tema c'è indubbiamente Matrix, dei fratelli Wachowski (i quali, oltre a cambiare la storia della fantascienza, hanno cambiato entrambi sesso, diventando le sorelle Wachowski -Lana e Lilly- e fidanzandosi con due donne, a riprova che la realtà non virtuale supera sempre la fantasia).
Tuttavia pochi conoscono Daniel F. Galouye (1920-1976), scrittore statunitense che nel 1964 scrisse un vero e proprio Matrix ante litteram, Simulacron-3, oggi pubblicato in Italia da Atlantide (in splendide edizioni numerate) con il titolo: Il mondo sul filo. Galouye, amatissimo da scienziati del calibro di Richard Dawkins, è l'autore di questo incredibile e raffinato romanzo anticipatore, ingiustamente dimenticato (sebbene ne siano stati tratti due film, di cui uno di Rainer Werner Fassbinder, Welt am Draht del 1973), dove una società molto mediatica e controllata costruisce un simulatore di intelligenza artificiale che riproduce in tutto e per tutto la società reale. Salvo scoprire che lo stesso mondo reale non è altro che una simulazione di un altro mondo.
A riprova che i fratelli-sorelle abbiano letto la meravigliosa distopia di Galouye (non è stato mai ammesso) c'è anche l'onomastica: l'identità artificiale che si avvede di essere dentro una simulazione di chiama Noh, e in Matrix è Neo. Senza contare scene in cui si passa dentro la realtà virtuale attraverso una cabina telefonica (esattamente come in Matrix).
Solo Philip Dick, nel 1953, ebbe un'intuizione analoga, nel racconto Il mondo in una bolla, nel quale si costruiscono mondi subatomici finché non ci si accorge che lo stesso mondo in cui si vive non è niente altro che la creazione subatomica di un universo più grande.
Ma Galouye va oltre, affrontando non solo l'evoluzione della cibernetica, dell'intelligenza artificiale, e dell'illusorietà del reale, ma il problema, squisitamente filosofico e in parte anche scientifico, secondo il quale se vivessimo dentro una simulazione, come nel sistema Simulacron-3 o in Matrix, nessuno potrebbe accorgersene. Perfino in astrofisica si parla di «universo visibile», al di là di quattordici miliardi di anni luce non è dato vedere, il cielo scrutato dal più potente dei telescopi ha lo stesso limite della siepe leopardiana «che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude».
L'imperscrutabilità ultima della realtà si rivela anche in cosmologia, nelle molte teorie sui multiversi (bolle di materia contenute dentro altre bolle infinite e irraggiungibili), in meccanica quantistica (il cosmo non è come ci appare, ma segue le leggi probabilistiche delle particelle elementari), nella genetica (il Dna è riducibile in un codice binario), oppure nelle neuroscienze, senza neppure bisogno di uscire dai confini della nostra mente.
Infatti ciò che vediamo e sentiamo non è nient'altro che una ricostruzione virtuale dei circuiti del nostro cervello, il quale elabora, con i suoi cento miliardi di neuroni, esattamente come un computer, il mondo esterno, codificando i segnali provenienti dai nostri sensi. Un'ape non vede il mondo come lo vediamo noi, e però quale dei due è più reale? Cade insomma l'assioma evangelico di San Tommaso: toccare per credere.
Vedere e toccare, affidandosi ai nostri sensi, non sono una prova diretta di niente. Il succitato Dawkins, di fronte a un credente che sosteneva: «Ho visto Gesù Cristo, e lei vuole mettere in dubbio che ciò che hanno visto i miei occhi non è reale?» rispose lapidario e serafico: «È reale, ma in quanto allucinazione».
Così come Douglas Hall, il protagonista del romanzo di Galouye, si ritrova a pensare: «Mi ritrovai a pensare il mio cielo luccicante di stelle, cercando di vedere oltre l'illusione universale e dentro la realtà assoluta.
Ma purtroppo il Mondo Reale non si trovava in nessuna direzione fisica rispetto al mio. Non era il mio universo, come io non ero nel suo. Allo stesso tempo, però, era ovunque intorno a me, nascosto da un velo elettronico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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