Ricciardo e Zoraide, melodramma riproposto alla trentanovesima edizione del Rossini Opera Festival di Pesaro, non è certo «la meglio opera che io abbia fatto», come ebbe a dire il suo Autore e nemmeno quel melodramma plumbeo di monolitica lunghezza che qualcuno ricorda dai pochi precedenti esecutivi. La messa in scena si trova impelagata in una ragnatela di convenzioni amorose paludate. Si tratta di un esotico quadrilatero degno di Voltaire. Due tenori, il moro Agorante e il paladino Ricciardo, innamorati dell'umiliatissima Zoraide, vittima anche della gelosia della moglie del primo, Zomira. Marshall Pynchovski, il regista di questo allestimento è tornato all'antico: fondali dipinti e costumi moreschi. Peccato che sembrassero scene-imitazioni del fu Jean-Pierre Ponnelle (ma non era meglio ripensare al genio originale di Alessandro Sanquirico?). Alcuni costumi grotteschi: il truce Agorante in panta sado-maso e gilet simil-reggiseno; l'ambasciatore cristiano Ernesto, invece, trascinante una vestaglia-tappeto. Stucchevole la presenza negli attacchi corali e sulle cadenze di sparuti ballerini. Se lo spettacolo si fosse retto solo sulla regia, il lettore può immaginare il risultato. Per fortuna la complessa distribuzione era a dir poco sontuosa una vera iniezione di fiducia per il futuro rossiniano che non può prescindere dalla vocalità. Non solo perché c'era il sempre festeggiato enfant du pays, Juan Diego Florez, nella parte dell'innamorato paladino Riccardo, ma soprattutto per la sovrana presenza della sua partner Pretty Yende (Zoraide), folgorante nei sopracuti e sgranata nelle fioriture.
Il pubblico pesarese è molto avvertito e nelle ovazioni ai cantanti ha rilevato la presenza di un giovane sul quale scommettere: il magnifico Xabier Anduaga (Ernesto), nella foto, che in una parte di contorno si è preso gli applausi che di solito vanno al divo.
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