Cultura e Spettacoli

Uno scrittore a Venezia Molesini e la solitudine

Parla l'autore alle prese con la sua nuova opera in laguna: "Sembra abbandonata dall'uomo"

Uno scrittore a Venezia Molesini e la solitudine

Come stanno vivendo gli scrittori questi tempi del Coronavirus. Un morbo che infetta l'umanità, che ci sta cambiando nei comportamenti, nelle abitudini, nella naturalezza delle cose, ma la penna continua fluida a scrivere. L'abbiamo chiesto ad Andrea Molesini, scrittore, poeta veneziano ed ex professore universitario che in questi giorni sta vivendo una Venezia diversa, spettrale, «sembra la guerra».

Una Venezia lontana da quando lo avevamo incontrato una mattina di fine gennaio. La nebbia di quel giorno era fitta, ma la città era gremita di persone. Molesini ci era venuto a prendere in stazione e ci aveva riaccompagnato. Un uomo d'altri tempi, qualcuno oserebbe dire. Tra cinque giorni lui avrebbe dovuto partecipare al Festival letterario Treviso Giallo, organizzato dall'Accademia Veneta con il Comune di Treviso, ovviamente rinviato. Camminava veloce Molesini, quel giorno col suo cappotto lungo; sono abituati così i veneziani, a zigzagare tra le calli e trottare sopra i ponti. Ma ora. Ora è cambiato tutto. «In questi giorni sto scrivendo racconta al Giornale mi concentro ma con qualche difficoltà perché c'è preoccupazione. Esco per una passeggiata, faccio la spesa, ma sembrano le antiche pestilenze medievali, la gente nelle calli fa di tutto per non incrociarsi, uno si accosta al muro da una parte, uno dall'altra. Siamo passati dall'eccesso a una città abbandonata dall'uomo». Una città particolare Venezia, dove le calli sono strette, i vicoli bui, a volte anche vicoli ciechi. Una Venezia che era sempre riboccante di turisti. «Vederla così racconta fa uno strano effetto. Adesso sto scrivendo un romanzo storico di un processo avvenuto nel XV secolo, ma è anche un giallo sul rapporto tra potere e giustizia». Lui è lo scrittore che nel 2011 vinse il Premio Comisso con Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio). Comisso, lo scrittore e poeta trevigiano, che a Fiume si schierò con D'Annunzio. Ecco, il prozio di Molesini, il fratello della sua bisnonna, l'ammiraglio Guglielmo Rainer sparò proprio contro i legionari di Gabriele D'Annunzio. «Rainer è stato costretto a sparare dice Molesini - hanno tacciato l'impresa di Fiume come un episodio fascista, ma non è così, c'è stato un travisamento. D'Annunzio non è mai stato fascista». Rainer è anche uno dei protagonisti del suo libro La solitudine dell'assassino (Rizzoli). La storia di Rainer, che fa il traduttore e che deve scrivere la biografia di un uomo che si trova a uscire di galera a 81 anni. Usa così Molesini, dà ai nomi dei suoi personaggi i nomi dei familiari, li fa vivere ancora. Sarà per questo che anche se lo intervisti, i personaggi non perdono di fascino, non si svelano mai completamente. Rimangono reali, con i loro segreti. «In tutti i libri uso i nomi della mia famiglia dice - Mi escono storie con questi personaggi esistiti veramente e con personaggi di pura invenzione. Il mio modello è Tolstoj che aveva questa tecnica meravigliosa di inventare i personaggi e di metterli all'interno di personaggi storici». Ma come prendono vita sulla carta? «Io parto da un principio: la forza dell'espressione deriva dalla costrizione. E il contesto storico è una costrizione. La Storia ti disciplina. Ti dà una guida. Viviamo in un mondo dove è molto facile scrivere mettendo in scena personalità formidabili, ma lo sforzo è cercare di mettere in scena situazioni verosimili. E se hai delle costrizioni ti aiutano a convogliare il pensiero». Della costrizione che stiamo vivendo ora, sta scrivendo qualcosa? «Per natura preferisco lasciare depositare le cose, riflettere, sto annotando qualche spunto ma preferisco lasciare che l'emozione rinasca per poi esprimerla. Sicuramente quello che ci sta accadendo genererà letteratura, ma non nell'immediato». Il suo ultimo libro è Dove un'ombra sconsolata mi cerca (Sellerio). Un Molesini che con i suoi personaggi non litiga mai. «Lascio che inventino loro il loro destino, questo scaturisce dal carattere, io decido il contesto, ma sono i personaggi che si impossessano di me. Nella realtà decido tempo e luogo. Poi lascio si formino da sé». Ma curiosità, quando scrive? «Scrivo molto bene la mattina presto, fino alle undici e mezza, poi riprendo verso le tre e mezza del pomeriggio. Ma non di fretta. La fretta disimpara a fare e ha permeato tutte le attività umane». Già, Molesini infatti va di fretta solo quando cammina. Ma per il resto preferisce lasciare sedimentare e assaporare il valore di ogni singolo gesto.

Quello che noi, a modo nostro, afflitti ora da un morbo, siamo costretti a imparare.

Commenti