Toh, un film sul '68 che non rimpiange la meglio gioventù

Applausi per la pellicola francese molto lontana dal solito narcisismo autoassolutorio dei "reduci" di quella stagione

Venezia - Per chi non ha la psicologia del reduce (diceva Flaiano, «reduci si nasce, non si diventa»), l'idea di andare a vedere un film sulla contestazione e il maggio francesi è come una seduta non necessaria dal dentista. Soffri e c'è anche il caso di rimetterci un dente sano. Narcisistico e auto-assolutorio, il reducismo non racconta la realtà, ma rimpiange un'esperienza e, di solito, un'età che coincide con la giovinezza del piangente di turno. Tutto è edulcorato e/o viziato e poche epoche vi si rispecchiano meglio di quella sessantottina, partita per essere febbrilmente rivoluzionaria salvo poi ritrovarsi nella irridente profezia di Eugéne Ionesco: «Fra vent'anni sarete tutti notai». In Francia, come del resto in Italia, la generazione più carrierista, nella politica, nella pubblicità, nel giornalismo, nei media televisivi, nella finanza, viene da lì e ha lasciato a quelle successive i cocci di un'utopia fallimentare e di un'ubriacatura ideologica da cui si è usciti prima alcolizzati e poi astemi.
Aprés mai di Olivier Assayas, classe 1955, proiettato ieri in concorso, si è rivelato invece una felice sorpresa. È un bel film, forse soltanto un po' lento, con una ricostruzione perfetta di abiti, mode, tic e manie di quel momento storico, una colonna sonora esemplare nel suo essere vintage doc, dei giovani attori esordienti di assoluta naturalezza, ancor più straordinaria se si pensa che per un diciottenne di oggi quei vent'anni di distanza sono archeologia. «Per capire il linguaggio politico di allora ho consultato il dizionario» ha confessato uno degli attori.
Il film si apre con un pensiero di Blaise Pascal: «Tra noi e l'inferno o tra noi e il paradiso c'è solo la vita, che è la cosa più fragile del mondo». Secondo Assayas, si tratta di «una possibile definizione della gioventù. C'è qualcosa di prezioso nell'ingenuità, nel candore, nell'idealismo dello sguardo sul mondo che si ha quando si cerca di trovarvi un posto, di confrontarcisi anche, senza pensare alle conseguenze. La gioventù è sempre quella che si consuma e la mia, dal punto di vista generazionale, è stata particolarmente infiammabile. Un integralismo assolutamente distruttivo».
Abbozzo di un ritratto collettivo, Aprés mai racconta l'educazione politico-sentimentale di un gruppo di liceali che al'68 arrivano quando c'è già la risacca dell'inizio dei Settanta. Il più politicizzato scivolerà nell'estremismo armato, la più razionale diverrà un funzionario di partito, il più impulsivo, ma anche il più creativo, sceglierà l'arte. Oltre a loro, e a fare fra loro da collante, c'è Gilles, quello a cui Assayas stesso presta del resto alcuni elementi autobiografici, la passione per il disegno prima, per il cinema dopo. Gilles è uno per il quale «il reale bussa alla mia porta e io non apro», ha la sensazione che la vita sia altrove e che il mondo gli sfugga, è permeabile, certo, allo spirito dell'epoca, ma non se ne lascia ingannare né finisce per esserne vittima.
Sul conformismo politico, Aprés mai dà uno spaccato efficace e ironico, perché poi lì si raggiunse il parossismo di una giovane, ma non solo, borghesia intellettuale che soffriva masochisticamente all'idea di non essere operaia. «Negli anni Settanta -nota il regista- eravamo costantemente obbligati a rendere conto dello slogan: Che cosa hai fatto per la classe operaia? Nella ossessione della politica c'era a sinistra qualcosa di triste e violento che si rifletteva nella personalità dei giovani». Dogmatismo, autarchia, asfissia erano il riflesso di una linea politico-ideologica che venendo dall'alto aboliva nel cinema come nella letteratura qualsiasi elemento di stile, di estetica, di creatività. Tutto veniva messo al servizio di una classe operaia e di una coscienza operaia che, per proprie virtù salvifiche, risolveva al suo interno le contraddizioni e dava sempre la risposta giusta.
Aprés mai è anche la storia di viaggi e di vacanze militanti, perché poi la realtà giovanile ha allora in fondo il suo battesimo al nomadismo, prima minoritario se non impensabile e oggi oramai un dato di fatto inflazionato. Lo stesso discorso vale per la sessualità, più libera, ma non così centrale né parossistica come una lettura miope vorrebbe far credere. Ciò che nel film emerge è inoltre l'assoluta alterità delle problematiche giovanili di allora rispetto a quelle di oggi.

«Prendiamo la storia del movimento operaio -dice ancora Assayas- oppure le sfumature, certo bizantine, delle diverse correnti che costituivano l'estrema sinistra del tempo: sono oggi totalmente estranee a loro. Della nozione stessa di cultura politica d'altronde non capiscono né l'interesse né le finalità. Gli unici veri punti di contatto sono gli abiti e la musica. E poi, forse, l'essenziale: una certa forma di idealismo».

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