Grosso, russo, Stalin. È Gérard Depardieu, che ha lasciato la Francia nel 2013 («un paese di imbecilli, che sa produrre soltanto formaggi puzzolenti», dice), per ricevere la cittadinanza russa dalle mani di Vladimir Putin in persona, al quale tributa di continuo attestati d'amicizia, di stima, di amore per la Russia leggendaria. Infatti l'attore che deborda, fisicamente e mentalmente, con tutta la possanza del suo ventre ora incarna «il Piccolo Padre del popolo» alla guida della Russia dal 1924 al 1953, nel film drammatico Le Divan de Staline (da gennaio nelle sale francesi), firmato dalla 66enne Fanny Ardant alla sua terza prova da regista e alla sua terza collaborazione con la star: 25 anni fa, i due interpretarono il film di François Truffaut La signora della porta accanto (1981) e poi Rasputin (2011).
A Putin, nuovo zar del Cremlino, Josif V. Stalin (1879-1953), figlio di un calzolaio e di una lavandaia, va a genio in quanto icona pop per la sua gente, che non può dimenticarlo, oltre che «manager efficiente», come l'ha definito facendo contenti gli orfani dell'Unione Sovietica. Così, tra dacie avvolte nella bruma e stuoli di serve adoranti, assaggiatori devoti e un'amante che ha il pallore acquoso della signora Polanski, Emmanuelle Seigner, il trailer in rete mostra l'«uomo d'acciaio» (Stalin, in russo) mentre, con passo pesante, stivaloni di cuoio alle ginocchia, sale le scale della sua residenza segreta, nella natia Georgia, dove va a riposarsi. E dove l'attende Lidia Semionova, la donna di cui il dittatore sovietico è innamorato, ma che non può fare a meno di picchiare e maltrattare, lanciandole in faccia enormi volumi rilegati in cuoio. Se lui si accascia sul suo divano preferito (da qui, il titolo), un sofa stranamente identico a quello di Freud, lei, gli occhi pieni di lacrime trattenute a stento, deve sedergli accanto su una vecchia sedia di legno e ascoltarlo. Magari con L'interpretazione dei sogni aperto in grembo.
Prodotto dalla compagnia franco-portoghese Leopardo Filmes e tratto all'omonimo romanzo di Jean-Daniel Baltassat (Seuil), Le Divan de Staline è ambientato all'inizio degli anni Cinquanta, in quella che ancora si chiamava Urss: i costumi, assai ricchi, sono forniti dalla moscovita Mosfilm. E racconta la storia del rapporto tra il giovane artista situazionista Danilov (Paul Hamy) e il dittatore, al quale restano solamente tre anni di vita. Incaricato da Stalin di erigergli un monumento grandioso, in stile culto della personalità, all'apogeo in quei tempi, Danilov dovrà concepire un'opera grandiosa, al fine di celebrare la gloriosa eternità del Piccolo Padre del popolo. Ma non c'è rosa senza spine, perché Stalin è convinto che l'artista abbia una relazione con la sua Lidia: da qui, notti d'insonnia, interrogatori del Kgb, attese e pedinamenti. E quando si aprono gli scuri della dacia sepolta tra le betulle, scompaiono i fantasmi di Stalin: sua madre, sua moglie suicida, gli anni in Siberia e Lenin, soprattutto lui... Chi potrà mai conoscere la verità sul dispotico tiranno Josif Vissaroniovic Dzhugashvili, colui che ha vissuto l'inferno nazista, manipolando cinesi e americani in piena guerra di Corea?
Ovvio che, con un personaggio del genere, Gégé sia andato a nozze, visto quanto lo attraggono gli uomini forti: nel 2011 ha impersonato Rasputin, diretto da Josée Dayan e stavolta gli imponenti baffoni del Piccolo Padre gli conferiscono un'aria corrusca, mentre lo smalto vitreo della neve è messo in risalto dalle ombre e, nel film, i campanelli che sente nelle orecchie non sono quelli della sua slitta. «Avevo voglia di narrare una storia di potere assoluto e volevo un ruolo all'altezza di Gérard. Sotto forma di racconto, esploro il rapporto tra il potere e l'arte. Come si fa a non perdere la propria anima? Ho pensato a scrittori come Anna Achmatova e Osip Mandelstam, i quali hanno dovuto vivere in un clima di terrore. Ho giocato sulla paura, l'eccitazione, il terrore», rivela Fanny Ardant a Le Figaro, aggiungendo che in Russia lei incontra «intellettuali molto colti e molto francofili».
Idea condivisa da Depardieu, che adesso potrà dire d'aver interpretato di tutto: dal bad boy bisessuale di I santissimi al personaggio di Cyrano de Bergerac, passando per Il conte di Montecristo, la sua filmografia è complessa. Magari adesso gli si apre un'altra brillante carriera alla corte dello «zar» Putin, che ha appena concesso la cittadinanza russa alla star Usa Steven Seagal.
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