Spielberg e Tom Hanks fanno la guerra nel Pacifico

Da domenica 9 maggio su Sky la serie-evento costata 200 milioni di dollari. Racconta lo sbarco nelle isole dell’Asia attraverso la storia di tre marines. Le dieci ore suddivise in cinque puntate

Spielberg e Tom Hanks fanno la guerra nel Pacifico

Ventesimo secolo, anni Cinquanta: dopo il pareggio nella guerra di Corea, gli americani si rassicurano ri-vincendo, al cinema, la guerra del Pacifico 1941-1945. Epurati dall’Fbi gli intellettuali, sospettati di essere comunisti (cioè che non cantassero nel coro di Truman e Eisenhower), Hollywood sfornerà una serie di film dove i militari americani, specie se scapoli o divorziati, muoiono con minimo soffrire e alto parlare.

Ventunesimo secolo, anni dieci: inchiodati in Irak e Afghanistan, gli americani riscoprono e fanno riscoprire, in tv, i crimini di guerra, inclusi i loro, nel Pacifico. Qui i militari (una volta li chiamavano i G.I.) crepano soffrendo, né più né meno dei giapponesi. Come loro, nell’agonia imprecano. O mormorano: «Mamma».

Oggi - nel silenzio di editori, nell’opportunismo di politici impostosi dal 2001 - solo Hollywood parla del presente, evocando il passato. Ecco dunque, con l’alta professionalità e l’altissimo investimento produttivo (200 milioni di dollari), la ragione per vedere prima del resto del mondo, da domenica 9 maggio (ore 21, su Sky Cinema 1), The Pacific, miniserie tv ideata da Steven Spielberg, Tom Hanks e Gary Goetzman per la più interessante emittente degli Stati Uniti, la Hbo. I milanesi scalpitanti potranno vedere la serie già da venerdì 7, andando al Telefilm Festival.

Intento di The Pacific è ripetere il successo di Band of Brothers, che proprio nel 2001 raccontava l’invasione dell’Europa (giugno 1944 - maggio 1945). Quella serie manteneva l’angolazione della «guerra giusta», ma il tempo fa giustizia. Ora, attraverso le vicende di tre marines, The Pacific registra semplicemente un esteso, espansionistico carnaio, provocato dallo scontro di due imperialismi. E in queste contese raramente vince il più coraggioso.

Sono dieci puntate di un’ora ciascuna, affidate a sceneggiatori e registi diversi; gli interpreti principali (James Badge Dale, Jon Seda, Joseph Mazzello) restano invece gli stessi. In Italia The Pacific sarà diffuso unendo due puntate alla volta in cinque domeniche consecutive, considerando il nostro pubblico più capace di lunga concentrazione che quello statunitense.

La serie, girata in Australia, ristabilisce verità militari che il cinema ha quasi sempre alterato: mostra per esempio la realtà di sbarchi incruenti, seguiti da cruentissime avanzate nell’interno di isole non proprio turistiche (la vulcanica Iwo Jima, per esempio). La qualità non è quella straordinaria di Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima di Clint Eastwood. Per esempio, le psicologie ricalcano, almeno all’inizio, stereotipi di volontari, non di coscritti, per evitare l’accusa di disfattismo che negli Stati Uniti è caduta anche su Eastwood.
Comunque, con i suoi compromessi, il tono di The Pacific è quasi attendibile, anche se è strana, nella prima puntata, la carta geografica del mondo aggiornata al dicembre 1941: infatti l’Islanda ha una svastica sopra, quando l’isola, possedimento danese, era stata invasa dagli inglesi, poi dagli americani, ancora formalmente neutrali. Ma ciò che conta è che, anche con l’aiuto del bel motivo conduttore di Hans Zimmer, si coglie lo spirito di centurioni dei personaggi, specie degli ufficiali, ai quali letteralmente non importa nulla «di Mussolini o di Hitler», cioè dell’Europa e dell’asserita «lotta per la democrazia», ma solo dell’Asia e della sua conquista.
I personaggi della vicenda sono ispirati da libri di reduci (With th Old Breed di Eugene B. Sledge; Helmet for My Pillow di Robert Leckie), più dai ricordi di John Basilone. Per coinvolgere lo spettatore qualunque, la ricostruzione storica americana parte dal basso, a differenza di quella britannica. Basta sapere che è una convenzione narrativa che nella realtà i popoli sono pedine, più che artefici, della loro storia.

Della relativa attendibilità di questa prospettiva «democratica» è consapevole anche Tom Hanks, quando dice: «Tutti hanno familiarità con la guerra in Europa, mentre la guerra nel Pacifico fu ancor più selvaggia e brutale, combattuta in territori i cui nomi i soldati nemmeno sapevano pronunciare».

Quanto all’assenza di retorica e all’ammissione che i criminali di guerra erano anche americani, Steven Spielberg, anche lui figlio di un reduce,

aggiunge: «The Pacific è la storia della corruzione dello spirito umano e della guerra privata che ogni soldato ha combattuto per salvare se stesso». È anche la risposta a chi ha creduto alla propaganda dei «liberatori».

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