Carlo, addio all'ossessione galattica

Sergio Ramos è un predestinato. Gareth Bale è un principe di Galles. Ramos appare nell'episodio Minaccia allo stadio della serie Detective Conan: nella puntata è un giocatore del Big Osaka che salva Conan all'ultimo. Così è stato a Lisbona non in un manga ma in una partita di football vera, lunga una notte, bella per come sa essere bello e imprevedibile. Conan si chiama Carlo Ancelotti, quel gol all'ultimo respiro dei tempi regolamentari, a pareggio del vantaggio realizzato dall'uruguagio Diego Godin, difensore dell'Atletico di Madrid, ha ridato luce e respiro a Carlo Ancelotti, un uomo sfinito, morto quando mancava un minuto, uno soltanto alla vittoria dell'Atletico. Quando si è andati ai supplementari Carlo Ancelotti ha cambiato espressione e colore delle sue gote, da porpora si erano fatte pallide e poi sono tornate umani. Aveva capito che forse il Madrid era di nuovo Real dopo quell'ora e mezza smarrita, sperduta, impaurita di fronte a un avversario affamato, rabbiosa, vogliosa. Diego Simeone era un monocolore, capelli, giacca, cravatta, camicia, neri, nerissimi come il suo cuore dopo quel gol di Ramos e il raddoppio di Bale e ancora Marcelo e Ronaldo, tanto, troppo, colpi di cabeza e di forza per farti perdere la testa e la coppa.
La Decima non è più un'ossessione. La Decima non è più un incubo. Dieci e lode, dieci e gode. Carlo Ancelotti aveva le gote imporporate come un bambino sorpreso a rubare nel vaso di marmellata, purtroppo la marmellata stava sul tavolo dei materassai, affamati, pieni di voglie e di rabbia, roba giusta per qualunque partita, figuratevi per una finale di coppa. Ancelotti ha abbandonato la panchina dopo minuti due, stava in piedi cercando di capire e annusando l'aria malsana di Lisbona nella quale le sue «meringhe» avevano la panna sciolta, senza corpo, senza profumo, senza sostanza.
Seguiva, Carlo, ogni azione, ogni movimento come fosse l'ultimo della sua carriera, del suo viaggio in terra di Spagna. In tribuna autorità Florentino Perez, il suo presidente, aveva l'espressione di chi già sapeva quale sarebbe stato l'epilogo, non soltanto della partita. Teneva il mento alto, Perez, come a dire e pensare: «Ma questo italiano che sta fecendo?». Carlo Ancelotti ha raccolto gloria e denari in ogni dove per l'Europa del pallone, avendo la buona sorte di incontrare una serie di 7 e 40 illustri, da Berlusconi ad Agnelli, da Abramovich agli emiri del Qatar per finire nella casa blanca di Florentino.
Persa la Liga, Ancelotti non poteva perdere questa champions. È rimasto in piedi con le braccia conserte il nodo della cravatta storto, storta come era la prima sera portoghese. Ieri sera gli allibratori si erano giocati il Real facile, l'Atletico era un'ipotesi, sì, d'accordo, la sorpresa, il colpo di scena. Questo stava disegnato nel volto sconcertato di Carlo Ancelotti e di una decima sognata, intravista, immaginata nei fumi di Lisbona, là dove vedemmo l'Inter di Angelo Moratti, strafavorita e ricca, arrendersi ai cattolici di Glasgow, il Celtic scozzese fece il colpo, il primo e l'ultimo della sua vita, della sua storia. Ancelotti, dopo i fantasmi, ha visto gli angeli, dopo Bale, Marcelo, dopo Marcelo ecco Ronaldo, l'Atletico sfiancato, svuotato, steso, il Real Regale.


La notte sarà lunghissima e felice per el senor Carlo Ancelotti, il sole dell'alba non dovrà mai sorgere. Ormai le sue gote non sono più rosse nemmeno pallide ma piene di luce, come lo stadio Da Luz. Madrid è una città di fiesta y de dolor. Ancelotti è un uomo solo e vincente. Viva l'Italia, finalmente.

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