il commento 2 Fair play finanziario e il grande silenzio di monsieur Platini

di Filippo Grassia
M a il fair-play dell'Uefa, tanto reclamizzato dal suo presidente Platini, è una cosa seria? O solo uno spaventapasseri impalato sui campi di calcio per fungere da alibi a chi vuole ridimensionare i debiti? Il silenzio assordante del dirigente francese sui 160 milioni spesi in un anno dal Paris Saint-Germain per acquisire Pastore, Sirigu, Thiago Motta, Maxwell, Lavezzi, Thiago Silva, Ibrahimovic e Verratti, non fa sperare nulla di buono. A suo tempo Platini non ebbe mezze misure per condannare quegli spendaccioni di Barcellona e Real Madrid, Inter e Milan. Stavolta niente. E il fatto che suo figlio, il 34enne Laurent, sia un manager della Qatar Sport Investments, controllata dalla Qatar Investment Authority, proprietaria del club parigino, desta molte perplessità. Il mondo del pallone si aspettava almeno una censura verbale, del tipo «avanti di questo passo, il PSG non avrà i titoli per partecipare alle coppe europee», invece è ancora in attesa d'un messaggio di condanna. Il calcio continua a viaggiare a velocità diseguali: da una parte figurano quei club che cercano di portare il bilancio a break-even come Milan e Inter; dall'altra quei club che comprano a tutto spiano facendo leva sulle ricchezze della proprietà, pleonastico il riferimento a Nasser Al Khelafi e Roman Abramovich, rispettivamente padroni di Paris Saint-Germain e Chelsea.
Eppure il modello dell'Uefa, avviato l'anno scorso con il monitoraggio dei bilanci, prevede al termine della stagione 2013-'14 un deficit massimo di 45 milioni coperto da contribuzioni della proprietà o aumenti di capitale. Vietato il ricorso a prestiti, fidejussioni e commercializzazione di asset collaterali. Non si dovrebbe spendere più di quanto s'incassa. Ma la lista delle sanzioni s'è come ammorbidita nel tempo: la minacciata e sbandierata esclusione dalle competizioni europee (Champions League, Uefa League) arriva dopo ammonizioni, multe, penalizzazioni, mancata iscrizione dei nuovi acquisti e perdita dei premi. Solo al termine di questo rosario figura la cacciata dalle coppe. E allora di cosa parliamo? Del sesso degli angeli. Il timore che una dozzina di grandi club esca dall'Uefa e dia vita a una lega autonoma con tanto di campionato europeo, ha convinto Platini & compagni a rivedere la linea dura prospettata dopo la nascita del fair-play finanziario.
E pensare che i numeri, sia pure risalenti al 2010, appaiono terribili. Se le entrate sono aumentate da 12 a 12,8 miliardi, i costi sono saliti da 13,4 a 14,4 miliardi. E il 56% delle società di massima serie hanno presentato perdite nette. Allora l'Uefa disse: «La tendenza deve essere invertita molto velocemente se vogliamo salvaguardare il calcio europeo. Ogni anno aumentano le entrate, ma anche le perdite, quindi dobbiamo agire con sollecitudine». Al gennaio di quest'anno la black-list comprendeva 13 grandi club. Questi i nomi più gettonati: Manchester City, Manchester United, Inter, Chelsea, Milan, Barcellona, Valencia, Liverpool, Paris Saint Germain, Chelsea, Juventus e Real Madrid.


Spetterà probabilmente alle banche svolgere il ruolo che dovrebbe competere all'Uefa chiudendo i rubinetti dei finanziamenti e chiedendo rientri puntuali. È quanto sta succedendo in Spagna dove il calcio-mercato ristagna al 10% di quello passato. O Platini si sveglia, e anche urgentemente, oppure rischia di perdere la faccia e la corsa alla poltrona di Blatter.

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