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Covid e Cvc, il fattore "C". Per cambiare la serie A si guarda a Premier e Nba

Lo scontro con la Federcalcio può accelerare la riforma per la governance e l'autonomia

Covid e Cvc, il fattore "C". Per cambiare la serie A si guarda a Premier e Nba

L'obiettivo della Lega Calcio è arrivare se non all'indipendenza dal sistema (modello Nba, per capirci), almeno all'autonomia (Premier League). Che poi alla fine le società vorrebbero semplicemente di contare di più, pesare per quel che valgono sul calcio italiano. Lo scontro con la Figc è acclarato e va oltre il 18-3 di lunedì in Consiglio federale. Ci sono anni di battaglie che hanno scavato un solco: più il calcio è diventato azienda, più si è aperta la forbice tra chi produce (e poi sperpera) e chi gestisce (e divide). Le regole sulla ripresa post pandemia hanno reso irrimandabile la questione e il tanto che abbiamo visto finora potrebbe essere nulla pensando a quel che potrebbe accadere. Playoff e playout, algoritmi e quarantene, ricorsi, tribunali, sarà un'estate da ridere, se non ci fosse da piangere.

La Lega Serie A, che attraverso la mutualità (il 10% dei diritti tv) consente al sistema calcio larga parte dell'attività dilettantistica e giovanile, si è come risvegliata in un incubo al momento della conta. Eppure il suo peso (12%) è sostanzialmente quello di sempre in seno al Consiglio federale. Accade che ce ne si accorga ogni volta che conta, soprattutto quando occorre eleggere il presidente. Si rivota l'anno prossimo, Gravina è già nel mirino. «Una ripicca sarebbe un segnale di miopia», ammonisce Giancarlo Abete, già presidente federale e ultimo commissario della Lega Calcio. «La federazione deve tutelare gl'interessi di tutti: la mia valutazione sull'operato di Gravina è positiva».

Sarà, ma le società non sono d'accordo. E non sono casuali né resteranno isolate le parole di Marotta, lunedì uno dei 3 voti dei club più ricchi in Consiglio federale (col silenzioso Lotito e il presidente Dal Pino): «La governance del calcio va cambiata, così non si può proseguire, perché non c'è equilibrio: siamo il 90% del fatturato calcio e non contiamo nulla». Un sasso che rotola e fa rumore.

Tra i club c'è chi guarda con interesse all'offerta del fondo CVC: 11 miliardi di euro per 10 anni di diritti tv e il 20% di una società che dovrebbe controllare la nuova Lega (con i club a detenere la maggioranza), Lega oggi composta da «mecenati e cialtroni» per usare le parole di Gravina. Agli uni e agli altri dovrebbe sostituirsi un management senza interessi che non quelli comuni. Insomma, un abbozzo di Premier League all'italiana.

La Lega ha un altro paio di settimane per rispondere all'offerta di CVC (quasi 40 anni di storia e un passato chiuso da poco in F1): Agnelli, Lotito, AdL e Percassi stanno esaminando i dettagli, delegati dai colleghi. In campo ci sono anche gli avvocati (Bruno Gattai per CVC). Si fa sul serio, l'ipotesi è concreta, anche alla luce delle recenti turbolenze con i broadcaster attualmente possessori dei diritti tv.

Ma c'è da andarci cauti: questa rimane la Lega gattopardesca che nell'estate del 2018 disse no ai soldi di Mediapro (che paga regolarmente in tutta Europa, da ultimo in Francia) per accettare l'offerta più bassa di Sky.

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