Dall'Aida alla Traviata la triste fine del Parma

Ora è proprio fallimento: il club che sorprese l'Europa finisce in serie D Una città tradita dai buchi di Ghirardi e Manenti, dopo i trucchi di Tanzi

Dall'Aida alla Traviata la triste fine del Parma

Il Parma non c'è più. Fallito, umiliato e offeso, una squadra abbandonata, una città tradita. La traviata del nostro calcio non ha nulla di lirico ma il suo melodramma si conclude come Violetta nell'opera di Giuseppe Verdi. Ma qui nessuna lacrima, nessun applauso del teatro commosso. Oggi c'è la vergogna, oggi c'è la rabbia contro chi ha usato il football e la storia di questo club per farsi ricco e famoso finendo poi travolto dai propri impicci e reati, ammanettato, recluso in galera. L'immagine di Calisto Tanzi prima e di tale Giampiero Manenti dopo, aprono e chiudono l'album di fotografie stracciate di questa ultima fetta di vita, da sempre tormentata. Parma conosce per la seconda volta la mortificazione del fallimento.

Il due di gennaio del Millenovecentosessantotto il Tribunale mise in liquidazione il club: non c'erano più soldi per proseguire l'attività, non c'erano gli sponsor, non c'era la tivvù a illustrare personaggi e interpreti di quel tramonto dopo cinquantacinque anni di calcio, interrotto dalle guerre ma comunque simbolo di una città elegante, colta, romantica e gaudente.

Venne, poi, la resurrezione, tre coppe Italia, una supercoppa italiana e una europea, due coppe Uefa e una coppa delle Coppe, il trionfo di Wembley, i grandi attori al Tardini, Crespo, Veron, Buffon, Cannavaro, Thuram, Zola, Asprilla, Couto, Stoichkov, Sacchi, Zeman, Maldini, Scala, Ancelotti, Malesani, Ulivieri, Prandelli, Cuper, era la marcia trionfale dell'Aida e del football, il viaggio a Parma era una goduria turistica, lo stadio Tardini diventò un piccolo salotto che raccoglieva gli inviati di mezza Europa. Uno di questi, spedito dall 'Equipe di Parigi per una partita di coppa Uefa, venne fatto fesso da un collega burlone il quale gli disse che il nome dello stadio era «Prosciutto di Parma», così fu trasmesso e così pubblicato nel tabellino del prestigioso quotidiano sportivo francese.

Giorni di allegria prima che il prosciutto diventasse rancido. Tanzi fu il padre di tutte le battaglie perse. Le sue vittorie erano mascherate, i conti occulti, il crack fu violento, qualcuno pensò che, tagliata la testa, il corpo fosse poi salvo. Ma era incancrenito. Incominciò la farsa: Stefano Tanzi, per nome del padre, poi Angiolini con Bondi commissario e Ghirardi prima che il tetto crollasse addosso a lui e a quel Manenti di cui sopra. Calciatori in campo e finanza in sede, sequestrati libri e mobilia, panchine e ambulanze, il Parma messo al bando dai banditi, sperando che qualcosa potesse accadere, per non toccare la nostra serie A, per non incidere sulla regolarità, già falsa e falsata, del torneo. Complici omertosi di una realtà evidente ormai a tutti, mentre i calciatori e il loro allenatore continuavano il mestiere con lealtà e coerenza, salvo quelli che preferendo l'odore dei soldi a quello dell'olio canforato se l'erano svignata anzitempo.

Un secolo e più di vita frantumato in una estate violenta, una goccia dopo l'altra, come un rubinetto rotto, di là gli affari di mercato che impazzano dovunque, di qua un centinaio scarso di tesserati, di colpo disoccupati per fallimento, un'altra vergogna scoperchiata, un giro di mercanti che dovrebbero pagare il conto e che, invece, sicuramente circoleranno ancora nel mondo del pallone.

Il Parma muore sepolto sotto una montagna di

debiti, i soldi facili e truccati lo hanno illuso e poi ucciso. L'immagine di Giuseppe Verdi, raffigurata sulle mille lire prima e sulla moneta commemorativa di due euro dopo, sembra quasi l'ultimo atto di un'opera buffa.

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