Lo zingaro, così ora lo chiamano (ed è un insulto) i tifosi della Fiorentina, forse ha già capito di aver sbagliato: doveva lasciare l'Italia, non solo Firenze e certe bande di minacciosi imbratta striscioni. Dusan Vlahovic, sotto sorveglianza, ieri si sarà domandato perché mai uno dovrebbe restare a giocare nel nostro Paese dopo aver letto un avvertimento, tutto mafioso, che diceva: «Le tue guardie non ti salveranno la vita. Zingaro per te è finita!». E il diluvio di inciviltà non si è fermato, dilagando tra scritte da strada e da social. Direte: Firenze non è tutta Italia. E quello è tifo da galera. Ma intanto esiste e rovina la grandezza di una città che ha creato meraviglie nell'arte, visto nascere geni e, nel suo piccolo, partire ottimi giocatori. Ecco, il suo mondo calcio non si è ancora arreso all'idea di essere terra di passaggio più che terra di regnanti. Quel termine non italiano, un po' banalizzato, leggi cantera, oggi si adatta benissimo quando si parla dei rapporti tra club viola e Juve. Fiorentina cantera della Signora: Vlahovic è l'ultimo a far valigia verso Torino, seppur per una cifrona. In sintesi, la Fiorentina alleva e la Juve rileva: finora ci ha azzeccato. Max Allegri ha sintetizzato in modo brusco, con Bernardeschi, dove sta la differenza. «Ehi Berna, ricorda che qui non sei a Firenze». Ovvero non puoi essere così svagato, distratto, bontempone quando calci un pallone. Eppure l'eterna nemica mai smetterà di mandare un bacione a Firenze: per lui e per gli altri.
Il tifo viola, così avvelenato contro i bianconeri predoni, dovrebbe invece ringraziare per tutti i danari con i quali casa Fiat ha innervato le casse. Bernardeschi costò 40 milioni. Federico Chiesa, penultimo della serie, vale 50 milioni più 10 di bonus. Semmai meglio prendersela con i gestori del club: piuttosto che con i calciatori. Il primo che volò a casa Juve sarà rimasto nella memoria di tifosi oltre il sessantino d'età: si chiamava Sergio Cervato, 467 presenze, uno scudetto e una finale di Coppa Campioni a Firenze, poi a Torino dal 1959 e furono due scudetti. Terzino col vizio del gol, implacabile rigorista, diventato centromediano metodista in bianconero. Ma il vero botto, a scatenar le folle, arrivò con i saluti del divin codino. Roberto Baggio, detto da Gianni Brera, in campo sembrava un Meazza. Ci volevano altri palcoscenici: partì nell'anno di Italia '90, vinse Pallone d'oro, scudetto, coppa Uefa e al primo ritorno, da avversario al Franchi, si rifiutò di tirar un rigore: valse un gol del cuore. La cantera ha preparato anche l'odierno capitano bianconero: Chiellini, acquistato da Agnelli nel 2004, venne prestato solo per un anno alla Fiorentina.
Invece non fu calice così amaro quando partirono il difensore Moretti e il bulgaro Boijnov, il bulldozer Felipe Melo e il portiere Neto che, in due stagioni, arricchì il pedigrèe di due scudetti e due coppe Italia. E chi ha fatto percorso inverso? Sono tanti e pure bravi. Ma Firenze brucia solo quando le ricordano di essere una cantera.
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