"Higuain & C. come il Barça. Ma io dico ancora Juve"

"Sarri punta tutto sul gioco, pochi lanci e un attacco spettacolo. Buffon aveva ragione: mai sottovalutare i valori di quel gruppo"

Marcello Lippi
Marcello Lippi

Carissimo Lippi, dica la verità: è questo il Napoli più forte di sempre?

«Mi verrebbe da dire no, nel senso che quel Napoli, con Maradona, Giordano e Careca, è ancora il più forte di sempre. Ma per evitare scomodi paragoni azzardo la differenza dal mio punto di vista: quel Napoli dipendeva dall'estro dei suoi fuoriclasse, questo è capace di esaltare i suoi fuoriclasse».

Ha dichiarato Buffon: ci davano per spacciati per la partenza lenta perché ignoravano i nostri valori. Condivide?

«Al 100%. Ero tra quelli che in quelle settimane ammoniva: attenti perché la Juve non è spacciata, attenti perché torneranno a lottare per le prime posizioni, io li conosco bene. Feci anche una battuta. Dissi: dopo 4 scudetti di fila, quelli della Juve hanno provato a dare un girone di vantaggio ai rivali ma nessuno è stato capace di approfittarne».

Perché lei, Lippi, continua a ritrovarsi in Max Allegri?

«1) perché a 46 anni, come me, è andato alla Juve; 2) perché è toscano come me; 3) perché ha la saggezza nella gestione degli uomini e la conoscenza del calcio necessarie. Mai vista una squadra cambiare sistema di gioco in partita traendone sempre un bel vantaggio».

Sarri invece?

«Sarri è uno che non può non piacere e che ha sovvertito un luogo comune del calcio secondo cui ci vogliono 7-8 mesi per modificare le caratteristiche di una squadra. L'anno scorso il Napoli segnava tanto, 70 gol mi pare, ma ne incassava troppi, 40 circa come le squadre da retrocessione. In tre mesi Sarri ha eliminato i difetti e lucidato i pregi. Poi ha conquistato il cuore dei suoi campioni, dettaglio non da poco».

Lei ha vissuto nelle due città: ce ne descrive il profilo?

«A Torino c'è la cultura della vittoria unita al temperamento riservato del piemontese. A Napoli c'è il contagioso entusiasmo che scorre per le strade della città».

La sua Juve era più italiana di questa?

«Non mi pare. Anzi ho l'impressione che abbia conservato lo stesso mix, fondamentale per una squadra di calcio. Perché il gruppo degli italiani è il dna della Juve che si trasmette di generazione in generazione: solo con un accentuato senso di appartenenza si possono raggiungere nel calcio prestigiosi risultati».

Ci descrive come giocano Juve e Napoli?

«Una, la Juve, è concreta, si compatta sempre e verticalizza di più. L'altra, il Napoli, punta tutto sul suo gioco: i difensori non lanciano mai lungo e hanno dei tagli in attacco, tipo Insigne che rientra e mette Callejon davanti alla porta, che mi ricordano il Barcellona».

Chi spende di più, in energie fisiche e nervose? Chi insegue o chi guida la classifica?

«Di solito chi sta davanti, soprattutto se non ha grande abitudine a lottare per lo scudetto. E c'è un'altra differenza vistosa: la Juve ha una rosa di grandissimo livello, abbondante».

A parte Juve e Napoli, chi gioca meglio in serie A?

«Le sorprese, piacevolissime, di questo torneo sono tre conferme: Empoli, Sassuolo e Fiorentina. L'Empoli di Giampaolo sta facendo addirittura meglio rispetto allo scorso anno con Sarri. La Fiorentina poi ha un limite vistoso: una rosa molto ridotta, di appena 12-13 titolari di qualità».

È più colpito dalla frenata dell'Inter o dal risveglio del Milan?

«Mi ha stupito l'Inter. Una squadra che parte a razzo, dopo aver cambiato tanto in estate, e che arriva ad avere 4 punti di vantaggio sul Napoli, non credevo potesse scivolare al quarto posto proprio quando avrebbe dovuto valorizzare la migliore conoscenza di gioco e uomini. Il Milan ha fatto il percorso opposto: ha cominciato tra mille difficoltà e adesso, grazie all'intelligenza di Mihajlovic, sta lentamente risalendo la china. Mi piace molto Niang, stravedo per Bonaventura e Bacca mi sembra un fenomeno».

Pensando all'europeo, talenti tipo Insigne e Bernardeschi troveranno posto in Nazionale?

«Non ho parlato con Conte ma penso proprio di sì. Antonio sta cercando gente di qualità».

Caro Lippi, lei è reduce da una felice esperienza in Cina. Si aspettava quella valanga di acquisti sul mercato europeo e brasiliano?

«In questa misura francamente no.

Ho parlato spesso con i vertici federali di quel paese e ho spiegato loro che per migliorare il movimento calcistico, più che le grandi firme, serviva un progetto teso a formare i settori giovanili. I campioni possono infiammare il campionato ed entusiasmare i tifosi ma poi occorrono istruttori e quel piano governativo che intende portare il calcio nelle scuole».

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