Ibra, leader e stratega. Prima batte il Covid, poi fa sembrare piccolo quel gigante di Lukaku

Zlatan il più anziano di sempre in gol nella stracittadina. "Papà" ideale dei baby rossoneri

Ibra, leader e stratega. Prima batte il Covid, poi fa sembrare piccolo quel gigante di Lukaku

Il trombettista con le note di O mia bela Madunina aveva riempito di malinconia prima del fischio di inizio il silenzio di San Siro per il derby ostaggio della pandemia. In realtà l'effetto è da musichetta Champions, aprendo le danze di una sfida bellissima con il vuoto del Meazza riempito dal duello tra due giganti: Zlatan Ibrahimovic e Romelu Lukaku. Ha vinto, stravinto per importanza, lo svedese, dirà il conto finale dei gol. Ibra aveva un conto aperto dal derby di febbraio, fermo a quel colpo di testa nel finale che poteva valere il pareggio. Per esserci ha domato il Covid, l'aveva avvisato: «Il virus mi sfida? Pessima idea». E dopo la quarantena si è ripresentato tirato a lucido. Una doppietta, quinto e sesto gol in campionato all'Inter per diventare l'ex più vendicativo della sfida, per essere il marcatore più vecchio del derby: 39 anni e 14 giorni, superato Nils Liedholm. Di svedese in svedese, si riscrive la storia della stracittadina che il Milan non vinceva fuoricasa dal 2010 (gol di Ibra).

Da Zlatan a Zlatan. Stavolta si fa parare il rigore, che si era procurato, ma sulla ribattuta è pronto a rimediare; poi da pochi passi concede il bis. Due gol in tre minuti. Un bravo a Leao per l'assist, ma quando l portoghese al cambio esce senza dare indicazioni, ecco che Ibra lo ribalta con le urla amplificate dal vuoto di San Siro. I figli di papà Zlatan devono ancora crescere, ma sono sulla buona strada. Difficile sbagliare con un esempio simile. Di testa i palloni sono suoi, se non ci arriva apre gli alettoni (anche un'ammonizione) oppure alza il gambone, stile arti marziali. Zlatan ha il Diavolo dentro, è dentro al Diavolo. Boa, regista arretrato, ma soprattutto finalizzatore. Perché il Milan porta la palla ai suoi attaccanti, mentre l'Inter gliela butta addosso, soprattutto ai muscoli di Lukaku. Che riapre la gara con un zampata delle sue, prova subito a rimetterla in equilibrio con un paio di giocate. Poi nella ripresa si lancia nelle sue progressioni. Ci prova in tutti i modi, rimedia anche un rigorino, ma un fuorigioco lo vanifica, l'ultimo tentativo è di punta ma finisce fuori.

Era scritto che dovesse essere il derby di Ibra l'infinito, l'immortale. Al resto ci hanno pensato i figli di papà Ibra che hanno imparato la lezione della rimonta di otto mesi fa e hanno resistito fino in fondo. Anche Zlatan, con Stefano Pioli a fare la voce grossa nel finale per vincere il suo primo derby in carriera che è anche il primo perso da Conte: «Era stanco, voleva uscire, ma stavolta mi sono arrabbiato io e l'ho tenuto dentro». L'allenatore poi si coccola il suo gigante: «Non mi do meriti nel rapporto con Ibra, è facilissimo. E quando tra le persone c'è stima, le cose vengono bene». L'idillio non mette limiti ai sogni: dalla Champions allo scudetto. Pioli non mette limiti perché ha dalla sua parte Ibra definito alla vigilia in quattro parole: «Positivo, generoso, determinato, trascinatore». Insomma il papà ideale per il giovane Diavolo. Due gol in tre minuti per lasciare in camicia bianca Antonio Conte, che si era tolto la giacca dopo il primo.

Centottanta secondi per rifare la storia di un derby che è stato di Ibra, per mettere a nudo i limiti della difesa nerazzurra, ma Lukaku ha provato in tutti i modi a farlo anche suo, non gli è bastato il terzo gol di fila al Milan. Due giganti. Uno spettacolo nel vuoto di San Siro, dove i «mille» si perdono nel cemento.

Finisce con il Milan stretto attorno a papà Ibra. Un leone con il sangue della preda addosso che ha ancora «fame», il messaggio social. Il gigante svedese colora di rossonero una Milano stretta nella morsa del Covid. A proposito, lui ha «battuto» anche il virus.

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