Lippi, i 70 anni mondiali del ct prestato ai cinesi

Dai trionfi della Juve alla notte di Berlino, un tecnico unico anche nelle impennate d'orgoglio

Lippi, i 70 anni mondiali del ct prestato ai cinesi

Il mare, il pallone e il giovane vecchio. Il mare di Viareggio, solcato quando può dal suo motoscafo, è sempre stato il suo habitat naturale. Il pallone è stato la passione che gli ha consentito di mettere da parte il destino da pasticciere e di arrivare fino a Berlino, all'appuntamento con la storia del calcio italiano e mondiale. Il giovane vecchio del quale parliamo e che può festeggiare oggi i suoi splendidi 70 anni senza avvertirne il peso, anzi ammirandone la leggerezza, è Marcello Lippi, un ct prestato al calcio cinese per provare a trascinare quel movimento verso il completo apprendistato. I successi gli hanno gonfiato il petto, le sconfitte l'hanno reso ancora più competitivo come ha di recente riconosciuto l'interessato che ha alternato, in carriera, alti (Napoli e Juve) e bassi (Inter), altissimi (Italia 2006) e cadute rovinose (Italia 2010), «apprendendo più dalle sconfitte che dalle vittorie», la confessione pubblica che è un inno al suo temperamento di maledetto ma autentico toscano. Incapace di perdonare come gli è successo tante volte. Ad esempio quando tornò da Duisburg a Roma con la coppa del mondo tra le mani e comunicò alla sua comunità che avrebbe lasciato l'incarico. I veleni rovesciati in particolare sul figlio Davide e su un paio di suoi sodali, Buffon e Cannavaro, sporcati dagli schizzi di Calciopoli, erano stati insopportabili. Riuscì a resistere alle pressioni e persino alle minacce affettuose di Gattuso rifugiandosi sul motoscafo e andandosene alla Maddalena per far perdere le tracce.

È stato il primo allenatore moderno del post-sacchismo che ha rilanciato la Juve uscita dal letargo di nove anni senza vittorie allestendo un trio d'attacco (Ravanelli-Baggio-Vialli) che avrebbe schiantato qualsiasi difesa e col quale riuscì a conquistare tre finali di Champions consecutive fino ad agguantare con la volèe di Del Piero la coppa Intercontinentale in Giappone.

Il suo capolavoro, di tecnico e raffinato psicologo, fu il mondiale in Germania perché in quel clima di caccia alle streghe firmò l'impresa unica senza disporre di un attaccante da 8-10 gol ma cavando oro da difensori (Materazzi, Zambrotta) e assegnando a Grosso, un altro terzino già caro agli dei nella semifinale di Dortmund, contro ogni logica e previsione, la responsabilità del rigore finale. Quando tornò in azzurro nel 2010 non funzionò più la chimica. E appena Tavecchio, più tardi, lo scelse come direttore tecnico delle nazionali fu costretto a sbattere la porta per via del conflitto d'interesse con il lavoro del figlio Davide denunciato dai media e ignorato dagli uffici in federazione.

Persino la scelta di Ventura ct, attribuita a Lippi da Malagò e da Lippi invece messa in conto a Tavecchio, è diventato il terreno dell'ultimo duello rusticano nel quale il toscanaccio non si è tirato indietro. Fedele al temperamento e alla voglia di calcio che l'ha conservato un giovanotto d'indecifrabile età anche adesso che si ritrova dall'altra parte del mondo con la nostalgia canaglia del mare di Viareggio.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica