Quando Berlusconi fece il tunnel ad Agnelli per prendere Gullit

Romiti chiamò per conto dell'Avvocato: «Quel giocatore ci interessa». Il Cavaliere rispose picche. Poi per Baggio...

Quando Berlusconi fece il tunnel ad Agnelli per prendere Gullit

La pacchia, per la potente Juve di Agnelli, era finita l'anno prima. Nell'estate dell'86 il Milan rampante di Silvio Berlusconi aveva messo fine al monopolio sul mercato calcistico interno soffiando ai bianconeri il gioiello più attraente dell'Atalanta, Roberto Donadoni. L'antica e solida amicizia di Giampiero Boniperti con la famiglia Bortolotti e col ds bergamasco dell'epoca, Franco Landri, non furono sufficienti a "stoppare" la trattativa imbastita dal Milan. Donadoni divenne rossonero, un anno dopo da Bergamo a Torino arrivò Magrin per rimpiazzare Platini! Fu allora probabilmente che l'Avvocato Agnelli capì che sarebbe stato complicato fermare la marcia di sua Emittenza (così la stampa piemontese lo chiamava) il quale stava preparando la scalata al tetto del mondo avviata nell'87 con la scelta rivoluzionaria di Arrigo Sacchi a Milanello. Ed è proprio nel libro appena pubblicato da Mondadori ( «Calcio totale » il titolo) dell'ex ct che è spuntato il ricordo, raccolto da Guido Conti, di un episodio simbolo di quel periodo, e cioè la telefonata del dottor Cesare Romiti a Silvio Berlusconi «per intimargli di ritirarsi dalla corsa di un calciatore» rimasto anonimo. «I migliori dobbiamo prenderli noi» suggerì il tecnico testimone del colloquio. E il Cavaliere, al volo, rispose per le rime a Romiti: «Non permetterti più di fare una telefonata del genere».

Col tempo l'Arrigo ha perso per strada l'identità di quel calciatore («giuro, non me lo ricordo») inseguito dal Milan e concupito anche dalla Juve. È lecito pensare a Ruud Gullit, il famoso capitan Treccia, stella nascente del calcio olandese cui Torino chiese di andare in parcheggio presso una squadra italiana per un anno in attesa del pensionamento di Platini. Silvio Berlusconi aveva ammirato quel fuoriclasse color ebano a Barcellona l'estate precedente durante il trofeo Gamper e impose il suo stile d'azione: salì sull'aereo personale, arrivò in Olanda, incontrò i dirigenti del Psv, offrì la cifra di 10 miliardi di lire (servita per costruire la nuova tribuna dello stadio) e ritornò a Milano con il primo straniero simbolo della straordinaria cavalcata tricolore. Non mancò di farsi vivo con una telefonata alla redazione sport de il Giornale . «Gullit è del Milan non della Juve» annunciò felice.

Fu l'inizio di un lungo duello rusticano, sui campi di calcio e sul mercato che conobbe anche un saggio armistizio. Nell'estate del '90 l'avvocato Agnelli aveva affidato a Montezemolo e Maifredi il compito di inseguire il Milan di Sacchi. Quando scoprì che su Roberto Baggio i rossoneri erano arrivati primi, grazie a un accordo col procuratore dell'epoca Antonio Caliendo, telefonò direttamente ad Arcore per chiedere di lasciare via libera alla Juve. Silvio Berlusconi quella volta disse sì e spiegò così ai suoi la rinuncia a Codino: «A volte devo trovare riparo in qualche porto». Galliani partì per Avellino, attese la finale di coppa Italia tra Juve e Fiorentina e notificò a Baggio la decisione del Milan. L'eroe del mondiale di Vicini, insieme con Totò Schillaci, passò alla Juve tra la disperazione del tifo viola e l'esultanza di quello bianconero ma a Torino impiegarono altri tre anni di vane rincorse prima di rimettere le mani sullo scudetto.

Chissà che effetto fa rileggere questi reperti di storia calcistica di ieri l'altro, scanditi dall'avvento di Berlusconi nella vita del povero Milan raccolto sul ciglio del fallimento, se si incrociano con le meste cronache dei nostri giorni provenienti da Milanello e dintorni.

Compreso l'ultimo comunicato della curva sud che dopo aver disertato lo stadio per Milan-Cagliari ha chiesto un colloquio al presidente Berlusconi «per sapere delle cessione del club e del prossimo mercato». Tra i milanisti di discreta memoria l'effetto è di una nostalgia canaglia.

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