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Sempre più Carlo Magno. Madrid incorona Ancelotti

Real come il Milan: 18 trofei internazionali. Il tecnico a 30 medaglie e ai suoi chiede già il bis

Sergio Ramos e Carlo Ancelotti
Sergio Ramos e Carlo Ancelotti

Ad Arcore, e in via Aldo Rossi, nuovo domicilio di casa Milan, di sicuro non hanno masticato amaro. Meglio lui, «meglio Carletto nostro che qualche altro», la riflessione colma di affetto e stima per la persona, l'amico e il professionista, destinate al successo del Real Madrid che ha raggiunto il Milan in cima alla classifica prestigiosa del club più titolato al mondo collezionando il trofeo numero 18. «Benvenuto nel nostro ristrettissimo club» il messaggio spedito da Adriano Galliani a uno dei suoi rossoneri preferiti. All'esordio da braccio operativo di Silvio Berlusconi, andò a Roma per strapparlo alla Roma di Dino Viola, più tardi, novembre del 2001, andò a casa sua per dirottarlo dalla panchina del Parma di Tanzi per trascinarlo a Milanello. E fu l'inizio di una cavalcata trionfale. Carletto, che adesso a Madrid e in Spagna hanno imparato a conoscere e stimare, per tutti è diventato Carlo Magno, ha ripagato della stessa moneta i suoi indimenticati sodali. «Questo è il momento più bello della mia carriera? Non lo so, forse ce ne sono stati altri» la risposta sincera e immediata che molti cronisti, amici di Carletto, hanno attribuito alla famosa notte di Manchester, maggio del 2003, quando alzò al cielo d'Inghilterra la prima Champions league da allenatore del Milan, al cospetto della Juve che lo aveva liquidato, qualche anno prima, etichettandolo come "eterno secondo". Mai visto Carletto, appesantito all'epoca da qualche chilo in più, correre felice come un ragazzino per saltare tra le braccia di Seedorf dopo il rigore di Shevchenko.

E che il parere di Ancelotti sia risultato decisivo nel corso del recente mercato rossonero per orientare le mosse di mercato, non è un pettegolezzo nè un mistero ma una confessione pubblica e solenne, ripetuta dallo stesso Inzaghi, sabato notte dopo aver domato la Roma inchiodandola sullo 0 a 0. «Ho chiesto a Carlo notizie e giudizi sul conto di Diego Lopez e Menez e subito dopo ho dato il mio assenso alle due operazioni» la frase dell'allievo che si è formato, negli anni di Milanello, alla scuola di Ancelotti (e di Tassotti). Diego Lopez e Menez, uno a Madrid, l'altro a Parigi, han lavorato con Carletto e il suo fido collaboratore William Vecchi.

Il Real è tornato sul tetto del mondo ma, per una volta, media e tv spagnoli, alla celebrazione del famoso marchio di fabbrica, hanno preferito ritagliare la sagoma dell'allenatore arrivato da Parigi e che ha già oscurato Mourinho, ha supplito alla partenza di pedine decisive (Di Maria e Xabi Alonso) modellando l'armata blanca con gli arrivi di Kroos e James Rodriguez. È diventato lui il fuoriclasse del Real, persino più osannato di Cristiano Ronaldo e Sergio Ramos. E non solo per la guida, sicura e lucida, attraverso i quattro snodi della stagione (copa del Rey, Champions league, Supercoppa d'Europa, Mondiale per club), ma per le medaglie appuntate sul petto, 30 addirittura tra calciatore e tecnico, il vero imperatore del calcio moderno. Come lui, dopo i quattro titoli iridati, due da calciatore con Sacchi, due da allenatore (Milan e Real), non c'è nessuno. E invece di aprire la ruota del pavone, prima di lasciare il Marocco, ha semplicemente chiesto ai suoi nuovi invincibili di ripetere le stesse prodezze nel 2015 con la sicurezza di ottenere ascolto. «Perché non ho mai allenato un gruppo così professionale» è la spiegazione semplice della fiducia riposta sulle spalle della vecchia e nuova guardia, di Casillas e di Benzema, di Isco e Marcelo.

Uno così se le merita tutte.

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