Inutile sforzarsi nel definire Gigi Simoni, manifesto calcistico in vita ed opere nell'arco di questi primi 80 anni che hanno reso qualche gloria, onore e un bel reddito di simpatia. Basta ascoltarlo in un'idea presa a prestito da Claudio Baglioni, ma che ne schizza l'autoritratto. «In fondo lui non pretendeva di cambiare il mondo, ma neanche il mondo è riuscito a cambiare lui».
Simoni è una tipica figurina Panini per appassionati: non te ne priveresti mai. Anche a costo di averla doppia. Nato a Crevalcore, cittadina del bolognese che ci riporta a qualcosa che abbia nesso con il cuore (sono tre sullo stemma locale): Simoni ha sempre saputo mettere il cuore al posto giusto. Testardo, d'accordo, ma con un velo di zucchero (non sdolcinato) che badava al lato umano. Mediamente calmo, sempre affabile, raffinato nella parlata. I capelli presto imbiancati, che ancor oggi non lo rendono vecchio né antico. Certo, il calcio va per etichette: e, se negli anni del Genoa del Fossati presidente, passava per allenatore della new wave, poi è diventato tecnico delle vecchia scuola. E se da giocatore formava una fantastica coppia d'ali con Gigi Meroni, nel Torino targato 1964, da allenatore non può discostare la foto ricordo da quel sorriso con Ronaldo al fianco. Ronaldo che lo portò alla conquista della coppa Uefa con l'Inter, che lo legò al non-rigore che fece epoca: ancor oggi vissuto come ingiustizia. «Non esiste un rigore non concesso che abbia la popolarità di quello negato contro la Juve», racconta di tanto in tanto. La breve storia interista è l'immagine di un calcio che esalta e distrugge. C'era Ronaldo e bastava la parola, secondo una felice battuta giornalistica: «Lo schema dell'Inter? Pagliuca rilancia e palla a Ronie». Simoni era arrivato a Milano, appena licenziato dal Napoli. Ci furono la coppa Uefa e il sogno scudetto azzoppato dall'arbitro Ceccarini per cementare il feeling. Non per Moratti che, in omaggio al suo bon ton (meglio cacciarlo da vincente), lo licenziò dopo un 3-1 al Real, proprio nel giorno dell'assegnazione della panchina d'oro. «Esonero nell'aria da un anno e mezzo», raccontò l'avvocato Prisco con feroce realismo.
La storia calcistica di Simoni è una carta geografica italiana (all'estero ha allenato solo il Cska di Sofia), un su e giù tra città grandi e piccole, in serie diverse. Giocatore e allenatore con la valigia, consapevole che va aperta e chiusa con egual disinvoltura. Basta dare un'occhiata ai numeri che sintetizzano la storia: 7 squadre da calciatore nelle quali ha contato 262 compagni; 17 club da allenatore che ha gestito 607 giocatori e, fra questi, tre esordienti (Bruno Conti, Gilardino e Pirlo) divenuti campioni del mondo. Diversi esoneri e tante promozioni.
Cremonese (dove è stato anche presidente) e Genoa le squadre alle quali ha legato tanti anni della vita e del credo nel pallone. Non a caso, è nella Hall of fame rossoblu e nel 2003, a Cremona, lo elessero allenatore del secolo. Cosa chiedere di più? Sessantadue anni di calcio: del come eravamo e come vorremmo che fosse.
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