Caro Cervi, per quale motivo il 28 ottobre 1922 il Re aprì le porte al fascismo? Perché aveva paura di fare la stessa fine dello zar di Russia? Sappiamo che il movimento comunista faceva sempre più proseliti, quindi forse non è sbagliato fare questa ipotesi.
Milano
Caro Mecca, alla sua impegnativa domanda devo rispondere molto sinteticamente. La mia convinzione è che la paura d'una rivoluzione comunista italiana non abbia influito sulle decisioni di Vittorio Emanuele III. Le settimane rosse erano passate, nessun Lenin premeva alle porte. I problemi d'ordine pubblico derivavano molto più dalle squadre fasciste che dalle sommosse proletarie. Le motivazioni del Re - che a lungo aveva diffidato di Mussolini - furono a mio avviso soprattutto queste: 1) La rissosità e il vaniloquio impotente delle forze politiche che avrebbero dovuto difendere la democrazia, e che invece si offendevano a vicenda. 2) La benevolenza di larga parte dei comandanti militari, a cominciare da Diaz e dall'ammiraglio Thaon di Revel, nei confronti d'un movimento che, sia pure con eccessi violenti, rivendicava i valori patriottici e deplorava la vittoria mutilata. 3) Il timore che un fascismo incollerito per lo stato d'assedio rivolgesse i suoi favori sul Duca d'Aosta: vicino - come la regina madre Margherita - all'azione delle camicie nere, e probabilmente tentato dal trono.
Ma il fattore dominante di quegli eventi fu la straordinaria capacità di manovra e di comando della quale Mussolini diede prova: lusingando molti vecchi liberali - tra loro, in un primo momento, Benedetto Croce - e tenendo a freno i suoi guerriglieri. L'unico che avrebbe potuto tenergli testa, Giolitti, era anziano e non si mosse: affidando l'emergenza a un suo gregario, il mediocre galantuomo Luigi Facta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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