la stanza di Mario CerviSofismi a parte, nel 1918 l'Italia vinse e l'Austria-Ungheria perse

Egregio Dr. Cervi, ho letto con interesse la lettera sulla vittoria pubblicata in data 29 ottobre e la Sua garbata risposta. Non sono comunque la sola persona a chiedersi di quale «vittoria» si tratti. Il 4 novembre 1918 le forze armate dell'Intesa non avevano conquistato nemmeno un metro quadrato di territorio appartenente agli Imperi Centrali. In Italia l'esercito austriaco occupava ancora circa 14.000 km². Non ci fu una resa, bensì una unilaterale ritirata per terminare ad ogni costo la guerra, come preteso dall'Imperatore Beato Carlo I. Giuseppe Prezzolini scrisse nella terza serie della Voce, pag. 34/35: «Vittorio Veneto è stata una ritirata che abbiamo disordinato: una battaglia che non abbiamo vinto». Il 4 novembre non fu, inoltre, la data in cui si chiese l'armistizio. Le trattative erano in atto da tempo e la firma fu apposta il 3 novembre, poi artificialmente protratta di un giorno per approfittare della mancata resistenza dovuta alla ritirata austro-ungarica incominciata il 29 ottobre 1918. Vittorio Veneto (che si chiamava ancora solo Vittorio) fu raggiunta il 30 ottobre e l'omonima grande battaglia non ha mai avuto luogo. Lei cita giustamente i nomi scritti sui monumenti. Si fa rispettosamente notare che sui monumenti ci sono anche i nomi dei nostri morti, ma non ci sarebbero stati caduti il 30 novembre. Una battaglia come quella descritta dalla scuola, senza nemmeno un caduto in combattimento, è senz'altro una buona notizia per l'umanità ma difficilmente sostenibile. Sarebbe naturalmente augurabile una giusta revisione, come Lei la chiama. I tempi non sembrano tuttavia maturi. Lei non mi risponderà, altrimenti dovrebbe toccare convinzioni stratificate estranee alla verità.
(Consigliere Regionale
della Süd Tiroler Freiheit)

Stimata signora Klotz, prima di rispondere brevemente alla sua lunga lettera accenno, per informazione dei lettori, a qualche suo dato biografico. Figlia del dinamitardo Georg Klotz, soprannominato per la sua specializzazione in attentati «il martellatore della Val Passiria», lei ha seguito, in politica, le orme paterne. Si è cioè battuta e tuttora si batte, a sessant'anni passati, per il distacco dell'Alto Adige dallo Stato italiano. Ancora: lei, pasionaria di un localismo anti-italiano e anti-europeo, ha ideato un partito irredentista che si propone di collocare ad ogni valico italo-austriaco (e già colloca, ma al di là del confine), cartelli con la scritta «Süd-Tirol ist nicht Italien!». Credo non sia necessario tradurre. Ed eccomi alla sostanza delle sue osservazioni. Non posso aspettarmi dalla figlia del «martellatore» riconoscimenti al valore e al sacrificio dei soldati italiani (per quanto mi riguarda rendo omaggio al valore e al sacrificio dei soldati austroungarici). Ma cosa vuol dimostrare, lei, con le sue annotazioni pignole? Che negli ultimi giorni della Grande Guerra l'esercito di Vienna era in disgregazione, e che la resa era inevitabile? E sia. Non m'interessa di stabilire quanto, dove e come si sia combattuto in quell'epilogo. M'interessa di dire che gli austroungarici non erano più un'entità militare valida perché l'esercito italiano, con centinaia di migliaia di morti, aveva vinto.

E il 4 novembre, data simbolica, vuole ricordarlo. Fosse il 2 o il 5, nella sostanza non cambierebbe nulla. Mi spiace infine, signora, che nelle sue ultime righe ritorni lo stucchevole «lei non mi risponderà». Le ho risposto.

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