Roberta Corradin
Gli svedesi avranno pure la luce solo per pochi mesi, ma quando c'è, è una luce che bagna in profondità le persone, le cose, la terra che dà frutti, vedi le fragole, mai così dolci - e tutti si affrettano a spiegare che è proprio quel bagno intenso di luce che fa di ortaggi e verdure un concentrato unico di sapori. Concentrato che i produttori nazionali si fanno peraltro pagare carissimo, tanto che solo pochi ristoranti possono accaparrarseli, mentre i più devono ripiegare su materia prima d'importazione, e questo ci dispiace perché se c'è una cosa di cui uno chef può essere ambasciatore, è la ricchezza del suo territorio. Che poi gli asparagi bianchi locali abbiano una consistenza e una dolcezza eccezionali, per molti resta un atto di fede. Noi, privilegiati, possiamo attestarlo, e dirvi per giunta: a Stoccolma andate al mercato di Salu Hall e compratevi un cestino di fragole autoctone, da gustare come il più dolce degli street food.
Poi, preparatevi: ha ragione Ferran Adrià, le novità verranno da nord. Forse non esattamente da Edsbaka Krog, immerso nel verde fuori città, il solo due stelle di Svezia, d'impronta classica francese, in cui anche temi à la page come gelatine e spume (nell'amuse buche, entrambe di asparago; poi, di cipollotto, di ramslök, erba svedese che sa di aglio) sono trattate con leziosità.
La novità le vediamo arrivare dal micromenu di Mistral, aperto da circa 2 anni e stellato dopo il primo, dove Fredrik Andersson insegue un uso delle tecniche fine non a se stesso ma alla carica emotiva di un piatto. Autodidatta, Fredrick ama il gusto amaro, che non cerca di coprire, ma semmai di accompagnare, come nell'essenza di cavolo con briciole di coppa e aringhe marinate e «bruciate» (sic). Le novità vengono dal Bon Lloc di Mathias Dahlgren, che non è un ristorante di tapas, a meno che vogliamo chiamare tapas tutte le minute portate di un menu degustazione. Mathias è andato avanti un pezzo, dice: «Prima pensavo che la tecnica fosse tutto, oggi penso che sia tutto l'ingrediente», e su questa idea ha costruito uno dei suoi menu, chiamato «occasion», in spagnolo, in cui serve l'eccellenza di un prodotto stagionale, e possono naturalmente capitare giorni in cui l'occasione non si presenta, e nemmeno il menu. Il lavoro di Mathias ci ha conquistati perché smaschera la complessità del semplice, nel crème caramel con sorbetto di latte acido; nella doppia ostrica, di mare e del giardino, dove la consistenza della polpa di un pomodoro imita quella dell'ostrica (vera) accanto, con l'ostrica leggermente scottata; in un dessert che tautologicamente si chiama zucchero e limone, perché quelli sono gli unici due ingredienti combinati in consistenze e cotture diverse, e il limoncello servito insieme fa in pratica parte del piatto.
Poi, per chi pensando Stoccolma pensa «renna, salmone, aringhe», si sappia che in città c'è una coorte di giovani, dallo stellato Danyel Couet di F12, al giovanissimo Christian Olsson di Vassa Eggen, che si confrontano su temi internazionalmente attualissimi, dalle consistenze ai rapporti tra pasticceria e cucina, benché con un'idea fissa, e cioè che a un certo punto deve arrivare il piatto principale e su quello non si scherza, è un'istituzione. Sono giovani, sono bravi, stanno cercando la loro strada.
Se poi invece, cercando la vostra, vi trovate in vena di tradizionalismi, o se volete un rimedio alla condizione virginale di non avere mai avuto uno smorgasbord, il panino degli scandinavi, un battesimo esemplare può essere quello del Grand's Veranda, il ristorante del Grand Hotel affacciato sulla baia di fronte al palazzo reale, che per orgoglio nazionale serve un opulento smorgasbord a pranzo tutti i giorni della settimana. Un buffet iperassortito da cui abbiamo scelto aringhe e salmone marinati al loro meglio, con la salsa alla senape e con le patate all'aneto, e poi carne di renna affumicata, le polpette brasate con la salsa di ribes, e per finire c'è una imbarazzante scelta di acquaviti svedesi, danesi, norvegesi e olandesi. La Skäne Akvavit, al caraway (parente del cumino), anice e finocchio chiude in tutta la sua digestiva bellezza.
Dopo, è perfetto un giro delle isole dell'arcipelago, o almeno un trasferimento in traghetto di pochi minuti e una passeggiata sull'isola di Djurgarden, con sosta obbligata all'imperdibile Rosendahls Träugårds Café, che in stagione serve i prodotti del giardino coltivato biologicamente da una cooperativa che gestisce anche il forno (il Gotlandsbread è un pane scuro semidolce perfetto con formaggi e affettati). Da non perdere per l'iniezione di fiducia nel genere umano, ispirata dal fatto di vedere la gente che raccoglie da sé i fiori coltivati e poi passa, così poco mediterraneamente, alla cassa.
Il motto di Djurgarden, come pure quello di Mathias Dahlgren d Bon Lloc, potrebbe suonare «Natura magistra artis», è l'arte che impara dalla natura, cosa ben chiara a tutti gli chef illuminati, che come Mathias, guardano al Naturale come alla prossima tappa di un percorso che lentamente, forse cervelloticamente, scopre il tessuto complesso di ciò che è più semplice, come un bicchiere di latte che sa di latte, perché chi l'ha prodotto, a sud di Stoccolma, invece della domanda «come posso produrne di più al costo più basso?», si è chiesto «come posso produrre un latte più buono?».
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