Lo stop alla scalata dell’Enel: Sarkozy prende le distanze

È bufera Oltralpe sulla fusione tra Suez e Gaz de France voluta dal premier. Perplessità nel governo, all’attacco anche socialisti e sindacati

Alberto Toscano

da Parigi

«Improvvisazione, precipitazione, privatizzazione», sono i termini utilizzati dal leader dell’opposizione francese, il socialista François Hollande, per definire ieri sera, nel corso di una trasmissione televisiva sulla rete Tv5, la scelta governativa di fondere i gruppi Suez e Gaz de France (Gdf) allo scopo - non dichiarato, ma del tutto evidente - di sbarrare la strada a un’ipotetica Opa di Enel su Suez. Interpretando l’opinione di molti francesi, anche di tendenza politica diversa dalla sua, il leader socialista ha detto: «Il governo prende a pretesto un’Opa non ancora decisa per precipitare la situazione, improvvisare una fusione e privatizzare il gruppo pubblico Gdf. Così si scontentano i sindacati e si allarmano i partner europei della Francia».
All’interno della maggioranza del governo di centrodestra sembrano esserci perplessità soprattutto nella componente liberale, che fa riferimento al ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy. Molti si chiedono come il primo ministro Dominique de Villepin abbia potuto convocare in quattro e quattr’otto sabato pomeriggio nel proprio ufficio - mentre si accingeva a partire per l’isola della Réunion, nell’Oceano indiano - il ministro dell’Economia, Thierry Breton, e i presidenti dei gruppi Suez e Gaz de France, rispettivamente Gérard Mestrallet e Jean-François Cirelli, per improvvisare una decisione tanto importante. Il nesso con l’eventuale Opa Enel su Suez è trasparente, ma ieri Breton lo ha negato, affermando che «le discussioni per la fusione erano in atto da settimane». Ieri sera si sono riuniti anche i consigli d’amministrazione dei due gruppi che il primo ministro vuole maritare tra loro. L’autorizzazione a proseguire i negoziati in quella direzione era scontata e adesso il progetto - machiavellico quanto maldestro - è nelle mani di Breton. Il suo schema è filtrato ieri sera ai consigli d’amministrazione: sarebbe Gdf ad assorbire Suez, ma al tempo stesso ci sarebbe una privatizzazione perché gli azionisti del gruppo fagocitato verrebbero ricompensati con azioni della nuova società derivante dall’operazione. Essendo la capitalizzazione di Borsa del gruppo privato Suez (40,02 miliardi di euro) nettamente superiore a quella del gruppo pubblico Gdf (che appartiene per l’80% allo Stato e che capitalizza 29,3 miliardi) il risultato dell’operazione sarebbe una sostanziale privatizzazione del gigante francese del gas nella sua nuova versione «allargata». Come dire che la futura entità derivante dalla fusione, la cui capitalizzazione di Borsa supererà i 72 miliardi, vedrà la partecipazione pubblica non molto oltre la soglia minima del 34%, stabilita e pubblicizzata dal governo (che vuole mantenere la «minoranza di blocco» per impedire all’Assemblea generale scelte strategiche sgradite ai pubblici poteri).
Questo scenario è difficile da realizzare e prenderebbe settimane (forse mesi) di lavoro a causa delle indispensabili discussioni parlamentari. Di qui un’ipotesi che piace ai fondi d’investimento detentori di azioni Suez: quella di consentire comunque a Enel di lanciare la propria Opa. L’attuale legge, che riguarda sia Gdf sia il gruppo gemello dell’elettricità Edf, prevede una soglia obbligatoria della partecipazione pubblica di almeno il 70% del capitale. Questa legge è stata fatta approvare neppure due anni fa dall’attuale maggioranza governativa, che dovrebbe dunque votare un nuovo testo sullo stesso argomento.
In caso di privatizzazione, il governo avrà problemi anche nelle piazze, visto che i sindacati di Gdf sono contrarissimi. Le confederazioni non sentono affatto come propria la crociata anti-Enel del primo ministro Villepin, fautore del «patriottismo economico». I sindacalisti pensano che il vero obiettivo di Enel non sia Suez, ma la sua filiale belga Electrabel.
In realtà, la partita è ben più aperta di quanto si credesse ieri in Italia. La cosa fondamentale, anche dopo le scontate prese di posizione favorevoli dei due cda, è conoscere il programma dettagliato della fusione. Vista da Parigi, la situazione presenta ancora margini di discussione, tanto più che Italia e Francia sono condannate a intendersi nel settore energetico: la prima è un grande acquirente di energia elettrica prodotta dalle 58 centrali nucleari della seconda. Inoltre esistono accordi bilaterali per l’avvenire di Edison e per la partecipazione italiana al programma francese Epr, volto a mettere a punto un nuovo tipo di centrali nucleari.

Per adesso il governo francese va avanti per la sua strada: quella di creare «uno dei maggiori gruppi energetici europei», come dice Breton. Ma l’annullamento dei colloqui parigini del ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, ha creato un certo imbarazzo dalle parti della Senna.

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