«Stop al tabù del posto fisso»

La riforma del mercato del lavoro proposta dal governo Monti rappresenta una rivoluzione culturale per un Paese come l’Italia che per generazioni ha inseguito l’idea del posto fisso. Chiediamo all’avvocato giuslavorista e docente all’Università Statale di Milano, Cesare Pozzoli, se gli italiani sono pronti o se invece subentrerà una paura collettiva che frenerà ulteriormente i consumi. «Certamente la riforma introduce una rivoluzione culturale smontando il tabù del posto fisso, ormai retaggio pressoché unico al mondo, in un’Italia in cui anche le unioni matrimoniali possono essere sciolte con più facilità dalle parti. La vera rivoluzione è semmai passare da una logica di “contrapposizione“ ad una logica di “collaborazione” nel lavoro, che alla lunga giova sia all’imprenditore che al lavoratore. Ritengo che il nostro Paese sia pronto a questo passaggio, di cui si parla da almeno un decennio e che è stato richiesto anche dalla Bce lo scorso agosto. Se il testo di legge definitivo verrà ben articolato e se i media e le parti sociali attueranno una corretta informazione, non credo si ingenererà alcun tipo di panico o di crollo dei consumi. Già oggi in più del 90% dei casi il licenziamento si conclude con una indennità economica non distante dai valori indicati dal governo per il licenziamento illegittimo: da 15 a 27 mensilità.
Ritiene che ci siano margini per migliorare l’impianto individuato, magari accogliendo alcune richieste dei sindacati così da scongiurare una stagione di scioperi?
«Molto dipenderà dal senso di responsabilità delle parti sociali, in primis della Cgil, e delle forze politiche. Come ha ricordato il presidente Napolitano, la riforma della disciplina dei licenziamenti è necessaria e deve essere attuata ricercando il maggiore consenso possibile ma poi chiedendo a tutti di comprenderne le ragioni di fondo. Nel percorso parlamentare del disegno di legge sono tuttavia auspicabili alcuni miglioramenti. Lasciare al giudice l’alternativa tra “reintegrazione“ e “indennità economica” nei casi di licenziamenti disciplinari porterebbe ad un ennesimo ampliamento della sua discrezionalità, scaricando sui magistrati scelte e sintesi che spettano al Legislatore e aumentando le incertezze che già affliggono questa materia. Basta pensare ai 3 lavoratori licenziati dalla Fiat a Melfi: il giudice del lavoro in fase cautelare ha sospeso i licenziamenti, il giudice che si è poi pronunciato sul merito ha capovolto la decisione, ritenendoli validi, e qualche settimana fa la Corte di Appello di Potenza ha nuovamente annullato i licenziamenti. E vedremo cosa succederà in Cassazione. Anche la procedura obbligatoria di conciliazione, introdotta nel 1998 e successivamente abrogata nel 2010, che si vorrebbe reintrodurre per i “licenziamenti economici”, rischia di allungare i tempi senza apportare alcun vantaggio».
La riforma si pone l’obiettivo di aumentare la flessibilità in uscita, resta però il problema di ricollocare e riqualificare gli addetti in eccesso?
«Sarebbe utile introdurre accanto agli ammortizzatori sociali, in fase di revisione, anche politiche attive che inducano le aziende ad offrire un servizio di outplacement ai lavoratori licenziati, per il quale l’impresa potrebbe usufruire delle Apl quali infrastrutture competenti. È poi è decisivo un sistema di formazione professionale e aggiornamento continuo, da attuare da parte degli Enti pubblici integrati con gli operatori privati qualificati, in una logica sussidiaria. È questa la vera risposta ad un contesto produttivo in continuo cambiamento e non invece l’irrigidimento ostinato, o d’altro canto lo smantellamento indiscriminato, delle barriere in uscita».
Come giudica il ruolo delle Apl?
«Il servizio di convergenza tra domanda e offerta svolto dalle Apl è centrale in un mercato del lavoro che va trasformandosi non solo in Italia ma in tutto il mondo, e che diventa sempre più “mobile”. Basti ricordare che nel 2011 i lavoratori interinali sono stati circa mezzo milione e che in molti casi si sono poi stabilizzati con assunzione diretta da parte delle aziende utilizzatrici».
Crede che sarebbe opportuno rafforzare il raggio d’azione delle Apl, in quali direzioni?
«Le agenzie per il lavoro potrebbero certamente avere più competenze in materia di ricollocazione professionale dei lavoratori licenziati contribuendo con la loro esperienza allo sviluppo e al potenziamento delle politiche attive per l’occupazione che devono accompagnare la riforma della disciplina in materia di licenziamenti».
La riforma risponde all’esigenza di flessibilità delle aziende. Crede che i giovani oggi costretti a vivere come precari ne trarranno vantaggio?
«Ridurre i vincoli di uscita è necessario per non fare collassare il sistema e per adeguarlo agli standard internazionali ma non basta; così come non basta per combattere il precariato aumentare il costo contributivo delle collaborazioni a progetto, oppure introdurre ulteriori oneri e vincoli al contratto a termine e alle “partite Iva continuative”. Per aiutare i giovani occorrono buone scuole e una buona formazione professionale, pubblica e insieme privata. Eppoi occorre che le persone e tutte le parti sociali scommettano sullo sviluppo, sulla crescita e sull’innovazione.
Le multinazionali torneranno a investire in Italia e le imprese del made in Italy avranno meno motivi per delocalizzare?
«La sfida non è tanto sulla riforma dei licenziamenti, che pure è necessaria, ma sullo sviluppo e sulla crescita, dove ognuno è chiamato a fare la sua parte per esprimere la propria creatività ridando vigore al made in Italy che ha reso in anni non lontani la manifattura e la produzione italiana leader nel mondo. Le leggi possono solo favorire o ostacolare questo impeto, ma non possono certo crearlo.

Da questo punto di vista un grave ostacolo agli investimenti percepito all’estero è l’incertezza del contesto italiano: sulle norme di riferimento, che cambiano in continuazione creando molteplici problemi di “diritto transitorio”, sulla durata dei processi, che muta considerevolmente da Tribunale a Tribunale, sulle interpretazioni delle norme, spesso confuse e applicate in modo difforme da luogo a luogo. L’auspicio è che si arrivi presto ad una riforma. Eppoi come dice Eliot “un mestiere per ciascuno, ognuno al suo lavoro“».

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