«Strappo ricucito a fatica dopo 40 anni di contrasti»

«Quarant’anni di fatica dura. Durissima. Due passi avanti e uno indietro per ricucire i rapporti con la Libia, però ora è Gheddafi la garanzia dell’Italia sull’altra sponda del Mediterraneo». Fabio Migliorini, ex ambasciatore italiano a Tripoli dal ’97 al 2000, racconta le difficoltà della nostra diplomazia in questi 39 anni. Da quando, correva il 1970, il leader libico si vendicò dei torti italiani cacciando i vivi e perfino i morti.
Fu chiamato il «Giorno della vendetta»...
«E tale fu sempre. Come il 16 settembre in cui ricorre l’impiccagione di Omar al-Mukhtar, tuttora indimenticata. E sotto l’ambasciata spuntavano tende e proteste anti-italiane».
Un problema per chi doveva ricostruire rapporti compromessi.
«L’unico rimedio era l’invito alla moderazione. Guai surriscaldare gli animi, un rischio enorme».
Eppure il pericolo c’era. Troppi risentimenti da entrambe le parti...
«Gheddafi pretendeva tre risposte: notizie sulla sorte dei deportati libici del 1911, sminamento delle bombe italiane, inglesi e tedesche della Seconda guerra mondiale e scuse per l’occupazione pluridecennale che era loro costato caro».
Difficile accontentarlo...
«In alcuni casi impossibile. Chi finì forzatamente in Italia nel 1911 era morto o introvabile, i discendenti in molti casi si erano rifatti una vita e non volevano saperne di tornare laggiù. L’ubicazione delle mine era indecifrabile, però tutte le mappe in nostro possesso gliele abbiamo date, esortando inglesi e tedeschi a fare altrettanto. E ci siamo adoperati per aiutare i libici nel risanamento. Loro hanno capito, ma ci sono voluti anni. Quanto alle scuse, beh, ora sono arrivate anche quelle. E pure un risarcimento sotto forma di autostrada che attraversa la costa libica. Fallì la proposta italiana di costruire un ospedale e pure quella libica della ferrovia. Ora ci siamo».
Tuttavia anche da parte italiana c’erano lagnanze.
«I crediti rimasti in sospeso per le nostre imprese e le carrette del mare che partivano dalle loro coste per Lampedusa. E senza controlli. Due successi dei governi Berlusconi: oggi le ditte italiane hanno avuto il saldo delle loro competenze oppure stanno avendolo ora. E sulle spiagge libiche c’è una sorveglianza che evita le massicce ondate di clandestini. Operazioni che a noi fanno gioco».
E il capitolo terrorismo?
«Sconfiggerlo fu merito dei governi Dc dei primi anni Ottanta, Andreotti soprattutto. Però anche Gheddafi è cambiato nel tempo: i campi di addestramento li ha chiusi lui, sebbene dietro le pressioni fatte da noi, forti del sostegno di tutto l’Occidente. Da “Stato canaglia” la Libia si è affrancata, mentre in Egitto resistono sacche di simpatizzanti della lotta armata anche se il governo combatte il terrorismo».
Impossibile dimenticare Lockerbie.
«Già quel Londra-New York della Pan-Am si schiantò nei cieli scozzesi il 21 dicembre dell’88 e la Libia non riconobbe mai ufficialmente le sue colpe. Tutti dissero che fu Tripoli a farlo esplodere, ma Gheddafi negò. Lo ammise solo in via indiretta risarcendo le vittime».
In tutto 270, di cui 259 passeggeri e 11 abitanti del villaggio scozzese. Gli americani erano 189.
«Il Colonnello consegnò i responsabili alla Corte di giustizia dell’Aia, però rimase il dubbio: chi li aveva armati? Non lo disse mai».
E uno è stato liberato proprio venerdì scorso.
«Per la rabbia di Obama. Ma il Guardasigilli scozzese ha commentato: “È stato condannato da un’autorità più alta e morirà” ha detto alludendo alla malattia terminale del detenuto. All’uscita del carcere c’era il figlio di Gheddafi che l’ha ricondotto in patria dove è stato accolto con grandi onori».
Sono le sue tipiche incongruenze.


«In Libia una parte dell’opinione pubblica considera quel terrorista come uno che ha pagato di tasca propria per scagionare il suo intero Paese. E come tale è un eroe. Comunque, mi creda: malgrado questo, all’Italia e non solo fa comodo che Gheddafi viva a lungo».

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