Milano - Una pioggia di incentivi per indirizzare i consumi e avviare una serie di nuove attività ecoindustriali. È così che il governo Prodi ha deciso di rispondere all’allarme ambientale dell’Onu. Ma la «lenzuolata verde» di decreti già approvati divide perfino il mondo ambientalista. Tra i delusi Legambiente e in parte il Wwf, perché viene promossa fortemente la produzione di energia elettrica dal sole mentre all’apparenza si «dimentica» l’eolico. I 2,5 miliardi di euro tra stanziamenti e sconti fiscali poi, hanno escluso chi non fa affari con sole e vento, ma li usa per produrre un’energia alternativa che rappresenta il 51 per cento delle rinnovabili in Europa e il 24 per cento in Italia: quella che nasce dalla legna. Al di là delle proteste e delle divisioni tuttavia, i decreti rappresentano effettivamente un primo passo verso l'indipendenza energetica dell’Italia? L’abbiamo chiesto a Pia Saraceno, creatrice dell’Unità di Previsione e dell’Osservatorio Energia dell’Istituto per la Ricerca Sociale. «Indipendenza energetica è una parola grossa» risponde la dottoressa Saraceno. «Un obiettivo assolutamente lontano che non può prescindere da fonti energetiche come il nucleare. Noi rimaniamo un paese importatore di energia e raggiungere l’indipendenza con il solo risparmio è impossibile. Queste misure dovrebbero servire a usare meglio l’energia che abbiamo, consumando meno e meglio».
Dovrebbero?
«L’uso del condizionale è dovuto al fatto che un’ambiguità in questo piano ecoenergetico esiste. Infatti è stato elaborato senza criteri di riferimento. Per poter parlare di efficienza energetica bisogna stabilire rispetto a quali obiettivi ci si muove. Mancano previsioni ufficiali, documenti complessivi che indichino prospettive energetiche a medio termine, obiettivi da perseguire e politiche conseguenti per realizzarli, oltre naturalmente agli strumenti per valutarne gli effetti».
Cosa accade negli altri Paesi europei?
«In Inghilterra, ad esempio, si predispongono documentazioni e rilevano i microcomportamenti di consumo».
Quali potrebbero essere le conseguenze per il consumatore?
«Le faccio un esempio: facciamo acquistare ai consumatori una lavatrice di classe A che consuma di meno o installiamo le lampadine di cui adesso tutti parlano o le finestre che consentono di risparmiare calore - è il caso della bioedilizia prevista dai decreti. Certamente consumeremo di meno. Ma, se a fronte di questo risparmio il trend di domanda energetica aumenta, avremo corretto il consumo ma non ridotto il fabbisogno. Potrebbe accadere che spegniamo una lampadina ma contemporaneamente ne accendiamo altre tre. L’utilizzo delle rinnovabili o la riduzione dell’emissione di Co2 sono obiettivi ambiziosi nei confronti dei quali l’approssimazione non funziona».
Come si potrà allora valutare l’efficacia di questi decreti?
«Il punto è che così non si può valutare. E si rischia di parlare di un risparmio che non c’è. Sappiamo che il risparmio energetico consentirà alle famiglie di spendere meno per il bucato. Ma se questo sia lo strumento giusto per portare al risparmio effettivo l’intero Paese e se le risorse che si spendono per far cambiare la lavatrice siano solo soldi regalati ai consumatori e all’industria delle lavatrici, ecco, questo non si sa».
Le previsioni sui consumi energetici preoccupano: aumento della domanda elettrica del 2 per cento all’anno fino al 2016. Il quadro normativo che risposte dà?
«Innanzitutto sarebbe interessante svolgere un’indagine sulla coerenza tra queste nuove politiche nazionali e quelle regionali già esistenti. Ma di nuovo manca documentazione.
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