(...) Jovanotti, straordinaria, su cui torneremo.
Ma quello stimolo a osare, a sognare, a volare alto, a non accontentarsi, per dirla alla genovese a ribellarsi al maniman e a tutto ciò che significa, è lo stesso che dà una speranza alle nuove generazioni. Lo stesso che lascia sperare che Genova e la Liguria non muoiano di veti incrociati e di squallide ramblette, di invidie, di gelosie e di energie spese per far andare male il vicino, piuttosto che andare bene noi. Lo stesso che non ci fa mai accontentare del tran tran e delle rendite di posizione - che sarebbero comodissime - ma che fa sempre pensare che ci possa essere un futuro migliore per la nostra città. O, semplicemente, magari minimalisticamente, che ci possa essere un futuro.
Quello a cui vogliamo ribellarci e continueremo a ribellarci - senza guardare in faccia a destra o sinistra, ma solo alle persone perbene, qualsiasi sia la loro maglietta - è lidea che questa possa essere solo una città di prepensionati, con tutto il rispetto per i prepensionati. Una città in cui il Comune, con le sue partecipate, è il maggior datore di lavoro, con tutto il rispetto per i dipendenti comunali e delle partecipate. Una città in cui non ci sia una macaia mentale, prima ancora che atmosferica, che tutto prende e tutto avvolge anestetizzando la voglia di pensare e di vivere diversamente. Una città che sappia guardare al futuro costruendo sul passato, tornando, almeno per una volta, Superba.
Una città che, ad esempio, ascolti quello che racconta Alessandro DAvenia, lautore dello splendido Bianca come il latte rossa come il sangue, il romanzo Mondadori che è stato uno dei fenomeni letterari del 2010. Anzi, se vi capita di passare in libreria, fidatevi, leggetelo, ora è uscito anche in versione tascabile. Leggetelo perché è un libro che emoziona, così come emoziona la profondità di quello che racconta DAvenia - professore di lettere al liceo - quando scrive di scuola e di adolescenza sulla Stampa.
Ma, soprattutto, ascoltate DAvenia quando - per bocca del suo prof letterario - racconta: «Solo quando luomo ha fede in ciò che è al di sopra della sua portata, lumanità fa quei passi in avanti che laiutano a credere in se stessa». E qui sta il punto, il guardare in alto, non accontentarsi di strisciare per terra, contenti di strisciare. Perfetta lezione per Genova, da abbinare a unaltra citazione, fra DAvenia e il Peter Weir dellAttimo fuggente: «Strappare la bellezza ovunque essa sia e regalarla a chi mi sta accanto. Per questo sono al mondo».
Cè dentro un po di tutto, don Giussani e Giacomo Leopardi. Cè dentro, soprattutto, la ricerca continua della bellezza. Che è il nostro scopo, il nostro obiettivo, la nostra ribellione a una città che è la più bella del mondo e non se ne accorge, e si butta via, e mischia la sua bellezza straniante e totalizzante con unurbanistica da arresto immediato della stragrande maggioranza degli architetti che vi hanno contribuito, con le Corti Lambruschini e le Dighe e le Lavatrici e quelle miriadi di palazzi dalle facciate ormai ingrigite come le menti di chi ha approvato quei piani regolatori e quelle di chi non riesce a vedere la bruttezza che soffoca uno scenario naturale meraviglioso.
Eppure, uno come DAvenia, a Genova parla poco. Forse perché ha molto da dire, forse perché non è della combriccola dei soliti noti. Lha invitato una volta, allapertura dellanno accademico, la residenza universitaria delle Peschiere, centro di studi che fa capo allOpus Dei e, forse, in quanto cattolica, viene vista con sospetto da parte di una certa cultura, quella dei consulenti e dei consulenti dei consulenti. Quelli che invitano sempre gli stessi, nomi che sembrano presi di peso dalle pagine di quei giornali che piacciono alla gente che piace. Ma solo a loro. Superallineati e ciambellani del nulla, con il bollino da intellettuale autoconferito o assegnato dai compagnucci della parrocchietta.
Proprio per questo, rinnovo linvito a quelli che stimo: a Luca Borzani e alla sua Fondazione di Palazzo Ducale, a pensare a DAvenia, anziché non invitarlo alla rassegna «Scrivere di scuola». Oppure, lo dico alle altre voci che hanno saputo rompere lallineamento, sempre e comunque: al teatro dellArchivolto, che su quel testo potrebbe lavorare. E, soprattutto, alla Fondazione Edoardo Garrone che, con le scelte anche anti-cultura unica del segretario generale Paolo Corradi, ha dimostrato di non essere ostaggio dellagenda di Giovanna Zucconi.
Il punto, ribadisco, sta tutto lì. Nel superare gli schemi. Nel passare le colonne dErcole, la Linea dombra di Conrad e di Jovanotti: «La linea dombra/ la nebbia che io vedo davanti a me/ per la prima volta nella vita mia/ mi trovo a saper quello che lascio e a non saper immaginar quello che trovo/ Mi offrono un incarico di responsabilità/ portare questa nave verso una rotta che nessuno sa (...)». E qui arrivano i racconti delle difficoltà e dei monsoni, di fronte ai quali occorre prendere una decisione: «È come dover saltare al di là di un fosso che mi divide dai tempi spensierati di un passato che è passato/saltare verso il tempo indefinito dellessere adulto». Fino alla partenza: «Mi offrono un incarico di responsabilità/ domani andrò giù al porto e gli dirò che sono pronto a partire/ getterò i bagagli in mare/ studierò le carte e aspetterò di sapere per dove si parte/ e quando passerà il monsone/ dirò levate làncora/ diritta avanti tutta/ questa è la direzione, questa è la decisione».
Ecco, se la nostra città e la nostra regione avranno il coraggio di salpare e di guardare oltre la linea dombra, allora possiamo sognare che il futuro sia qualcosa di più di unipotesi. Noi, con la famiglia del Giornale di Genova e della Liguria, ci saremo.
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