«La Superpopolare? È un’idea sbagliata»

Bpi-Bpm? «Il modello più simile è il nostro. E non siamo nelle mani dei sindacati»

«La Superpopolare? È un’idea sbagliata»

Massimo Restelli

nostro inviato a Modena

L’idea di promuovere una “Superpopolare” rischia di stridere con la situazione del Paese, «fatto di tante nazioni che sono le regioni. Creare 3-4 grandi gruppi cooperativi è un vantaggio ma questo non significa integrare quelli di dimensioni maggiori». Panciotto allacciato, aplomb da banchiere vecchio stampo, l’amministratore delegato Guido Leoni ci accoglie nel cuore di Popolare Emilia Romagna rivendicando la vicinanza a Bpi quanto ad approccio sul territorio. Al momento, tuttavia, l’obiettivo è crescere in «Piemonte, Liguria, Toscana e Lazio», cui si aggiunge l’invito alle consorelle di unire le forze in settori come il risparmio gestito e di considerare Meliorbanca la «banca d’affari delle Pmi».
Come considera il progetto di Superpopolare rilanciato da Mazzotta?
«Mi lascia perplesso. È difficile pensare a nozze dove si perde il riferimento al locale inteso come territorio di servizio. Se dovessimo confluire con Bpm seguirebbero problemi di sede e di governo. Si disperderebbe valore. Ecco perché Bper ha adottato un modello federale».
Eppure il pressing per scrivere il destino di Bpi appare in aumento?
«Prima di qualsiasi accordo occorre confrontare il modo di stare sul mercato: il modello più simile a Lodi sarebbe il nostro. Bper ha un localismo profondo, non ci sono investitori istituzionali e non siamo in mano ai sindacati. Contiamo 90mila soci, di cui oltre 70mila in Emilia Romagna e sono nostri clienti. Inoltre, gli spostamenti dei centri di governo hanno sempre avuto ripercussioni negative: l’Emilia Romagna è stata terra di conquista e questo ci ha aiutato a diventare l’istituto di riferimento».
Che prospettive ha la ex Lodi?
«Il nucleo lombardo è difficilmente acquisibile per chiunque. La strategia di Divo Gronchi non mi pare sia aggregare la Lodi storica: c’è un problema di immagine per la città. Diversa la situazione di Reti Bancarie ma la scelta di integrarla nella capogruppo è il segnale che Bpi tenta di stare da sola. Ci potrà essere qualche scambio di sportelli, il resto sono ipotesi di scuola».
Come vorrebbe evolvesse il sistema delle banche cooperative?
«La soluzione sarebbe sviluppare insieme alcuni mestieri e mettere a fattor comune le società prodotto: è l’idea da cui è nata Arca che poi, purtroppo, è stata molto ridimensionata. Sul retail ci deve, invece, essere concorrenza. Sarebbero poi opportuni una grande Sgr e, ma è più arduo, un presidio assicurativo condiviso».
Come crescerà il gruppo Bper?
«Continuiamo sulla nostra strada, siamo sempre stati chiamati a risanare. Ora che il quadro è in ordine, il Banco di Sardegna crescerà nel Tirreno. Abbiamo poi creato una società di credito al consumo che opera in tutta Italia».
Come sta andando l’esercizio?
«Sono 30 anni che abbiamo utili record, ci sarà anche il 31esimo. Stabilità e rendimento: questo è quello che una banca deve assicurare ai propri soci».
Qual è la vocazione di Meliorbanca?
«Diventare la banca d’affari delle Pmi. Trasformarsi nella Centrobanca di un tempo con partecipazioni industriali, con un ruolo nel credito e nell’advisory. Bper non ha desideri egemonici, è pronta a un progetto ambizioso a servizio dell’intero sistema».
Cosa c’è nel futuro di Italease?
«È un altro esempio di buona cooperazione. Bper, malgrado abbia proprie società specializzate, apporta molto lavoro per fedeltà al modello. Ci è anche stato chiesto di fare confluire le nostre controllate ma abbiamo ritenuto che non fosse opportuno».
Ma l’aumento di capitale di Bper è al servizio di altre acquisizioni...
«L’obiettivo è diventare una banca nazionale su basi regionali. Ci sono zone del Paese dove non siamo presenti o vogliamo rafforzarci come Piemonte, Liguria, Toscana e Lazio. In ogni caso non intendiamo aggredire nessuno ma sposarci».
Come mai a Intra questo approccio “amichevole” è fallito?
«Sono sorpreso e amareggiato. C’erano rapporti storici fin dalla Popolare di Modena. Li abbiamo aiutati nei momenti di difficoltà sia con la tesoreria sia, dopo averli avvertiti, acquistando azioni. Era un segnale di amicizia: Bper si era limitata a raccogliere lo 0,5% per rispetto allo statuto di Intra, senza mai andare fuori dalle regole. Poi non mi è piaciuto il modo con cui sono state confrontate le proposte».
Il gruppo ha dimensioni notevoli, perché rimanere quotati su Expandi?
«Non potrà essere in eterno ma in quel momento cambierà qualcosa. La nostra realtà è finora stata tenuta protetta: ricordo che la capitalizzazione è 3,2 miliardi contro 2,9 miliardi di patrimonio. Oggi l’interesse è speculativo ma io non ho mai considerato i soci come il parco buoi. Rifiuto le stock option, ho valori umanistici forti».
Come giudica l’esito del caso Bnl?
«Probabilmente Unipol non ha fatto una corretta valutazione dei rischi. Alla fine si è ritirata e abbiamo condiviso questa idea».
La bandiera dell’italianità è caduta, prevede ripercussioni sul sistema?
«Il Paese non può essere spogliato, soprattutto in mancanza di una reale reciprocità. Non è un caso che i francesi abbiano acquistato nella grande distribuzione e nelle banche, dove c’è la liquidità così come in Autostrade. L’Italia da Paese sovrano rischia di diventare un suddito».
Teme la concorrenza straniera?
«Non voglio sollevare polemiche con le associazioni dei consumatori ma in sede Abi abbiamo verificato che tutti gli studi includono le imposte di bollo. Un unicum italiano e di cui le banche sono esattrici per lo Stato. Depurando questa voce, siamo più economici che all’estero».
E il voto capitario?
«Ha senso se la banca è realmente una cooperativa, esistono casi anche all’estero. Se il gruppo mantiene questa struttura è un valore che non deve essere disperso. Se invece è una maschera, bisogna intervenire.
Dopo il caso Lodi, occorrono cambiamenti di governance?
«Non penso che con regole diverse alcuni errori sarebbero stati evitati. Qualcuno ha tradito il mandato ma non dipende dal modello. Il punto non è aumentare gli amministratori cosiddetti “indipendenti”. In cda ognuno vota con la propria testa e se si sbaglia in assemblea emerge».
Come è cambiata Bankitalia con Draghi?
«Probabilmente l’orientamento del nuovo governatore è in parte diverso da quello di Fazio che aveva molta preoccupazione che il sistema bancario restasse italiano il più possibile. Scelta che non ha però vietato agli stranieri di effettuare ingenti investimenti persino in Mediobanca. Non vedo un distacco: sono due persone di grande qualità. Non si può considerare Fazio solo rispetto agli immobiliaristi. L’Italia in 30 anni ha attraversato crisi bancarie gravissime ma i risparmiatori sono sempre stati tutelati».
Però alcuni salvataggi come quello di Bipop, sono apparsi pilotati dall’alto...
«Il dirigismo può aver influito su alcuni casi specifici ma la tutela del risparmio e la solidità nazionale sono sempre state favorite da Bankitalia».
I lavori per la guida dell’Abi sono fermi?
«I candidati sono di grande qualità.

Credo che esporranno le proprie tesi programmatiche e che si troverà un accordo di grandissima convergenza. Gli anni di Sella sono stati di forte impulso, spero che l’attesa non sia troppo lunga. E che non sia una scelta condizionata dalla politica ma di sistema per le banche».

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