Politica

Tav, Prodi con le spalle al muro «Adesso decida se farla o no»

Il commissario Ue Barrot: «L’esecutivo convinca gli indecisi». No da Verdi e Prc. Confindustria insiste: «O dentro o fuori»

Felice Manti

da Milano

I conflitti dell’Unione sulla Tav Torino-Lione sono scoppiati nelle mani del presidente del Consiglio, Romano Prodi. Il premier oggi incontrerà la coordinatrice del Corridoio 5 Lisbona-Kiev, Loyola de Palacio e dovrà chiarire, una volta per tutte, la posizione del governo sull’Alta velocità, opera peraltro neanche menzionata nel voluminoso programma elettorale del centrosinistra. Ieri lo stesso premier ha ammesso il dilemma: «Il problema non è se ci sia uno stop al cantiere - ha detto prima di volare a Mosca dal premier russo Putin - ma decidere». Se dare il via libera alla tratta ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, come chiede tutto il centrodestra e una parte del centrosinistra, o cedere alle sirene dell’anima No-Tav. Che, in attesa della decisione di Prodi, si gode una doppia vittoria: lo sgombero del cantiere di Venaus, deciso lunedì dal pm torinese Patrizia Caputo, ufficialmente per controllare i danni subiti dai macchinari della cooperativa ravennate Cmc durante la guerriglia tra forze dell’ordine e No-Tav del 6 dicembre. E soprattutto il successo della petizione contro la Torino-Lione, presentata dagli eurodeputati Verdi e dai rappresentanti dei comitati valsusini contrari alla Tav, in una riunione che ha coinvolto due commissioni Ue e il responsabile europeo ai Trasporti, Jacques Barrot. Il delegato Ue, all’uscita dall’incontro, ha detto chiaramente che adesso «tocca al governo dialogare con le popolazioni della Val di Susa e convincerle». Impresa quanto mai disperata, visto il tono dei commenti del fronte No-Tav. Per i Verdi la decisione di Barrot è «una vittoria che rimette in discussione il progetto». Per il parlamentare europeo di Rifondazione comunista, Vittorio Agnoletto, «ieri è definitivamente scomparsa la presunta pressione dell’Ue sull’opera», e dunque il premier Prodi «può tranquillamente rimandare a casa a mani vuote Loyola de Palacio».
L’altra anima del centrosinistra spera che il difficile dialogo con i valligiani e soprattutto con l’estrema sinistra possa sbloccare positivamente la situazione. Ieri il presidente della commissione Trasporti dell’Europarlamento, Paolo Costa, ha definito «estremamante lodevole» l’iniziativa delle due Commissioni «di confrontare anche punti di vista distanti sulla Tav», ma ha ribadito che adesso bisogna discutere «sul “come” realizzare il progetto, non più sul “se”», visto che «questa infrastruttura riuscirà a colmare uno dei più importanti pezzi mancanti al grande puzzle europeo». Costa ha chiesto anche a Prodi «di dire in fretta come intende finanziare da qui al 2020 la Torino-Lione e l’intera tratta italiana, dalla Francia alla Slovenia». Secondo Costa «servono 21 miliardi, oltre ai 12 già spesi».
Sul finanziamento dell’opera sono intervenute le quattro associazioni degli imprenditori coinvolti nell’Alta velocità, tra le quali l’italiana Confindustria, che hanno ribadito la loro insoddisfazione in una lettera alle istituzioni europee, nella quale si chiede «la verifica degli impegni degli Stati nell’investimento». Per il vicepresidente di Confindustria Andrea Moltrasio «si tratta di decidere se l’Italia deve restare dentro o fuori un asse di comunicazione che attraversa l’Europa».
L’ultimo appello a Prodi è arrivato dal governatore del Piemonte, Mercedes Bresso, che ha chiesto una posizione precisa entro il 4 luglio, giorno dell’incontro con i ministri Letta e Di Pietro, «in vista del confronto con i partner transalpini».

Ieri il Consiglio regionale piemontese ha anche approvato un ordine del giorno con il quale si dà il pieno appoggio all’opera.

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