Politica

Il teatro perduto di Acqui

Non si potrà dire che Berlusconi e il suo governo hanno cambiato il mondo, ma non lo cambieranno neanche tipi come Pierluigi Bersani, che preferiscono il quieto vivere alla difesa dei principi e di un autentico spirito civico. Evidentemente Bersani non conosce o non considera la massima: «Amicus Plato sed magis amica Veritas». Lui no: lui accetta, serenamente che sia stuprata la sua bella città, Piacenza, pur di non contraddire e disturbare il suo amico sindaco, Roberto Reggi. Non gli viene in mente che la testardaggine non sia un valore. Da me sollecitato a esortare il suo compagno ulivista a una maggior attenzione per la difesa dei monumenti e in particolare della più bella villa del Settecento piacentino, non trova di meglio che dichiarare che gli va bene quello che fa il sindaco, perché sa quello che fa. Una risposta fideistica, sulla base del noto teorema dell'infallibilità del Reggi, che non vuol essere contraddetto nemmeno dai suoi. Altrimenti strepita. Bersani non pensa a difendere un luogo intatto di Piacenza, ma a proteggere il suo sindaco dalle mie critiche e dalle mie censure. Al diavolo la Veggioletta! Cosa sarà mai una bretella di tangenziale? Perché Sgarbi si scalda tanto?
Il modello di Bersani è Ponzio Pilato; ed egli, di fronte al sindaco, fa la parte del pesce in barile. Non vuole essere messo in mezzo, non vuole prendere posizione. Ciò che fa il sindaco va bene in ogni caso. A lui, il politico più astuto di Piacenza; ma certo non ai suoi concittadini, anche a molti onesti elettori di sinistra. Bersani non vuole disturbare, non vuole intromettersi. Lasciamo stare il sindaco, non è mica del Polo. Questi, ed altri pensieri si saranno agitati nella sua testa. Non esistono ragioni assolute o ragioni relative, esistono ragioni politiche. Alla convenienza e alla opportunità si può ben sacrificare una villa. Per una boccia persa come Bersani, hanno invece dato segnali di coscienza e di autentico spirito civico e senso dello Stato, il Soprintendente regionale Maddalena Ragni e quello di settore Luciano Serchia, che hanno predisposto un vincolo di tutela per la villa e l'ambiente che la circonda, come il buon senso richiede. Risulta difficile intendere perché occorrano mobilitazioni di cittadini, interventi della Soprintendenza, moniti rumorosi dello Sgarbi furioso, perché si affermino il buon senso e il rispetto di principi e valori irrinunciabili. A tal punto sono arrivate la barbarie e l'indifferenza? Ora che a Piacenza sembrano ristabilite le regole, il sindaco può, temporaneamente, riprendere fiato. Il fronte si apre altrove. Non c'è pace per i beni culturali. Questa volta, occorre richiamare all'ordine un altro sindaco, di un'amministrazione leghista, quello di Acqui Terme. Destra e sinistra sembrano mostrare uguale indifferenza per quel bene indisponibile che è la memoria di una comunità, che si esprime negli edifici storici, nelle chiese, nei teatri. Si può pensare (probabilmente inorridirebbe anche il sindaco di Piacenza) di abbattere il Politeama Garibaldi, edificato all'inizio del secolo, tra il 1899 e il 1900, in pieno centro storico, in una città senza teatro, per lasciare spazio a un parcheggio? Si può consentire, nella colpevole distrazione della Soprintendenza, che i cittadini assistano attoniti e impotenti, alla ferita del palcoscenico abbattuto, per mostrare oscenamente la fragile nudità della platea e della cavea, con gli ordini di palchi come condannati a morte in attesa dell'esecuzione? Può un'amministrazione tollerare una simile vergogna, senza ostacolare l'insensibile protervia di un privato che pensa di cancellare la storia? Non è questo il mandato che gli amministratori di Acqui hanno avuto dai cittadini che hanno scelto, in maggioranza, quella parte politica che, come nella lingua e nelle tradizioni, ha scelto programmaticamente di difendere l'identità e la cultura di un popolo. E cosa più di un teatro le rappresenta?
Sappia il sindaco di Acqui, senza che ve lo richiami lo Stato, darsi da solo quella disciplina e quel rispetto di valori che il sindaco di Piacenza non ha saputo e voluto interpretare.

E io continuo il mio impegno di «vigile» urbano.

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