TEMI LETTERARI Ecco l’alfabeto che cattura la vita

È uscito il primo volume di un grande «Dizionario» Utet che illustra i lemmi e i motivi più ricorrenti della scrittura

Crederle oppure no? Firmava il suo secondo romanzo Willa Cather allorché, nel 1913, dichiarò in O Pioneers!: «Non ci sono che due o tre umane storie, e vanno avanti a ripetersi: fieramente, come se non fossero mai accadute prima». Poi, però, anche per lei, più della monotonia poté la fierezza. Perché, nel giro di un quarto di secolo, senza smentirsi e senza mai ripetersi, l’autrice americana storie in forma di romanzo ne avrebbe raccontate oltre una dozzina. E nemmeno leggendo la sua tredicesima e ultima si ha l’impressione di affrontare un che di déjà vu: di già visto, vissuto, o già sentito prima. Potere della prosa come quello della musica. E le variazioni che l’arte della composizione narrativa può inventare sono tali e tante da indurre a sospettare che altrettanti - e mai due volte uguali - siano i temi dell’originaria ispirazione.
Temi o motivi. Usano indifferentemente i due termini, entrambi buoni per la letteratura come per la musica, gli autori del monumentale Dizionario Utet che li registra in ordine alfabetico. Remo Cesariani, Mario Domenichelli e Pino Fasano li selezionano quali irriducibili unità di contenuto e di senso, costruite - ogni volta da capo, fieramente - con una manciata di sillabe o di note. Col risultato di squadernare una varietà di sviluppi e di esecuzioni che gli effetti più diversi sanno provocare: sorpresa, curiosità, riconoscimento di esperienze e conoscenze ritrovate, smarrimento tra le suggestioni mai provate, vertigine, smania di approfondire... Ad eccezione della monotonia.
Tonalità, appunto, ce ne sono almeno quante le lettere dell’alfabeto. Tante che le 773 pagine del primo volume del Dizionario dei temi letterari (l’unico venduto, per ora, nelle agenzie Utet raggiungibili al numero verde 800.224.664 e al sito web http//cultura.utet.it. I due volumi successivi usciranno a primavera) bastano appena ad annotare le prime cinque. Dalla A alla E. Cioè dall’Abbandono che è (spiega la definizione del lemma precedente la miriade di esempi) l’incuria d’un regno, l’esposizione d’un bimbo, la sciagurata sorte di un figliuol povero o di un marinaio naufragato, il tradimento di un soldato, di un amico o di un’amata. Che è Filottete e Edipo, Pollicino e il Monello di Chaplin, Sinbad, Robinson e Gulliver, Arianna a Nasso o Didone innamorata: nelle narrazioni di Sofocle e Virgilio, di Swift e Defoe, di Stevenson e dei fratelli Grimm, come nei madrigali e nelle canzoni di Monteverdi, Dowland e Purcell. Fino all’Europa. Che «nacque come persona mitica, umana e divina», sognata dall’immaginazione teogonica di Esiodo, cantata nell’Inno omerico ad Apollo. E crebbe poi definita nei suoi confini geografici nell’antichità di Strabone, religiosi nel Medioevo cristiano di Dante e Dubois, scientifico-filosofici con i Lumi settecenteschi di Montesquieu e Voltaire, politici con le due guerre mondiali che finirono per sgretolarli fin giù negli incubi di Musil e Mann, di Broch e di Trakl.
Che fosse un mito fantastico o un’utopia irraggiungibile, una bella fantasia o un brutto sogno, comunque dell’Europa il profilo più seducente e forse il meglio riconoscibile è quello disegnato sulla linea della tradizione letteraria. È una linea frastagliata, spezzata, interrotta e sempre ricucita: sfumata nelle dissolvenze del cinema, nelle arie dell’opera, nei colori delle arti figurative, prolungata oltre l’oceano per congiungere il vecchio continente al nuovo mondo. Eppure contiene in un unico perimetro il bacino amplissimo della civiltà occidentale, di cui gli autori del dizionario tematico tracciano, per punti e segmenti di skyline, l’orizzonte. Dentro, attestati nell’indice del «temario», si spalancano Abissi, si distendono Acque, vi planano gli Albatri. Vi navigano i Dubbi e i Doppi, i Diavoli, i Demoni e i Destini. Vi si specchiano Boschi e Castelli, Baci e Duelli, Banditi e Bordelli.
Sono tutte voci fitte di risonanze, se basta dire Cuore per far vibrare le note della vita (in Aulo Gellio, Aristotele, San Paolo) o del sangue di Cristo (raccolto nel sacro Graal), del muscolo divorato (nelle fiabe rinascimentali) e dell’organo spezzato (in tutte le favole romantiche), del lago dantesco dell’anima o di un fondale gelido di pietra. E se basta dire Burla per far guizzare le arguzie e le astuzie di un Giove plautino o del Ciappelletto boccaccesco, le pasquinate burchiellesche del Ruzante, le imprese donchisciottesche di Cervantes, le beffe maccheroniche di Folengo, i buffi misteri di Kafka, Ionesco e Fo.
È evidente che le evocazioni scappano via rimbalzando una sull’altra per associazioni, capriole e acrobazie (tutte da leggere - à propos - le voci Acrobata e Burattino), ma non vanno mai «fuori tema». Ed è un’evidenza che si può dire in due parole. Buone, volendo, per fare un po’ d’ordine: per riportare a un Albero la selva o a un Alfabeto la babele delle storie. Succede però che l’Albero, apparentemente saldo su radici, fusto e corona, si ramifica pian piano in sottovoci: mormorate dalla notte senza tempo del Genesi alle cime delle Alpi di Bertacchi, raccontano dell’Abete e dell’Olmo, del Cipresso di Foscolo (o il Ciparisso di Ovidio), della Quercia di Pausania e del Leccio da cui Frazer colse Il ramo d’oro, del virgiliano Faggio di Titiro e dello shakespeariano Tasso di Amleto, del Melo di Callimaco e del Mandorlo di Plinio, degli Aranci di Lorca, dei Limoni di Montale, degli ulivi di Pascoli e D’Annunzio...
Difficile trovare in questo intrico un filare diritto da percorrere. Ma neanche la fila indiana delle lettere varrà a disciplinare l’esplosione dei temi in letteratura: non fa in tempo a entrare in scena l’Alfabeto, per intonare - apocalittico - il suo motivo sull’Alfa e l’Omega evocate da San Giovanni, che già suscita l’eco dell’Aleph di Borges e della Zeta di Zorro.

Ecco allora che, un po’ a caso, cadono La lettera scarlatta di Hawthorne, la «E» Scomparsa cioè cancellata da un libro intero di Perec, La lettera U che fu fatale alle folli scorribande di Tarchetti, la V. che intitola, con una cifra, la foresta dei simboli coltivati da Thomas Pynchon.

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