Roma - Sa che il tempo è poco e che bisogna fare in fretta ma Berlusconi non demorde. La strada giusta è quella di buttare sul tavolo la «carta 27», dal numero delle misure individuate nelle ultime settimane per dare una scossa all’economia. Il problema è duplice: in primis le proposte più svariate sono arrivate da singoli ministri, tecnici e ampi settori della maggioranza ma manca una visione d’insieme. Inoltre resta sullo sfondo il braccio di ferro con Tremonti che continua a pensare in cuor suo che «il Pil non si fa per decreto».
In ogni caso tutti sono consapevoli che l’obiettivo è duplice: abbattere il debito e mettere benzina nel motore dello sviluppo. Le idee ci sono ma serve razionalizzare i provvedimenti da inserire in un apposito decreto che sia, soprattutto, a costo zero. O comunque che sia coperto dai frutti della maximanovra di agosto. Detassazione per le aziende che investono in opere pubbliche, rilancio dei porti, vendita di caserme, uffici e municipalizzate, liberalizzazioni e sburocratizzazione sono gli ingredienti principali del menu-crescita. Esclusa è invece l’ipotesi del condono che, se è vero che garantirebbe un po’ di quattrini, sarebbe misura pressoché inutile perché «non sarebbe contabilizzato a livello europeo», ammettono da palazzo Chigi.
Tutte le proposte inserite nel capitolo crescita devono comunque passare dalle forche caudine dei tecnici del ministro dell’Economia con cui il premier non ha ancora parlato. Anche se per oggi fonti di maggioranza assicurano un faccia a faccia Berlusconi-Tremonti. Ieri a farlo per lui il sottosegretario Letta e anche il ministro Bossi, nella veste di mediatore, in attesa di un tavolo di confronto risolutivo. C’è chi giura che sarà proprio Tremonti l’ostacolo principale, abituato com’è a cassare i suggerimenti degli altri. Ma questa volta Berlusconi non intende ripiegare e lascia che sia il Senatur a lavorarsi il ministro affinché digerisca in pieno la collegialità. Tradotto: ora si decide assieme a Sacconi, Brunetta, Romani e Calderoli, altrimenti... È la cosiddetta «cabina di regia», strumento con il quale Berlusconi vuole limitare lo strapotere dell’uomo dei conti. Su alcuni punti c’è un’intesa di massima. Sulle liberalizzazioni, per esempio: quello dell’articolo 41, ossia «è tutto lecito ciò che non è espressamente vietato» è un antico cavallo di battaglia di Tremonti. Idem sulle infrastrutture con cui si pensa di detassare le imprese che si aggiudicano la realizzazione e la gestione di un’opera pubblica. Su altri temi le visioni rimangono distanti. Alcuni settori della maggioranza continuano a fare il tifo per un condono che vede anche Tremonti contrarissimo. Mentre sulla riforma delle pensioni persiste il veto di Bossi e i suoi sebbene tutti la considerino una misura «ineludibile». E sul capitolo previdenza sembrerebbe d’accordo anche il ministro dell’Economia.
In ogni caso il Cavaliere è intenzionato ad andare avanti, forte della consapevolezza che non c’è un’alternativa capace di tirare fuori il Paese dalla tempesta finanziaria. Sa, però, che la sua immagine è offuscata dall’attacco a tenaglia di magistratura e stampa.
Non ultimo l’affondo dei vescovi con la prolusione del cardinale Bagnasco, subito cavalcata dalle opposizioni con quel «comportamenti non compatibili col decoro delle istituzioni». «Parole strumentalizzate per farmi cadere» è il pensiero di Berlusconi che tiene duro e confida negli storici buoni rapporti di Letta con Oltretevere. Si sente accerchiato ingiustamente, il premier. Ecco perché sarebbe intenzionato a far partire una controffensiva mediatica per «metterci la faccia» e spiegare agli italiani come stanno realmente le cose. Sia dal punto di vista politico che da quello mediatico-giudiziario.
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