L'Aquila - Del resto lo si sarebbe potuto indovinare. Perché annunciando il suo addio, Massimo Cialente s’era preso la briga di sottolineare che trattavasi di dimissioni «vere e inequivocabili », una denuntiatio non petita nella quale già si sarebbe potuta intravedere la retromarcia. Era l’8 marzo scorso quando il sindaco Pd dell’Aquila ha rimesso il mandato, con un terremoto politico tutto legato, ha denunciato, a quello che ha distrutto la sua città due anni fa. Aveva venti giorni per ripensarci e così ha fatto. Anzi, detto-fatto, visto che prima di farlo lo ha annunciato, «domani il sindaco ritira le sue dimissioni» titolavano le agenzie due giorni fa, vacci a capire. A dire il vero il Pdl lo aveva detto. «Se si dimette, questa volta non può ripensarci» aveva sorriso il senatore Enzo Lombardi, ex sindaco. Macché dimissioni, era stato ancora più esplicito l’assessore regionale Gianfranco Giuliante, è solo un «facite ammuina » per costringere i suoi indisciplinati- riottosi-assenteisti consiglieri comunali a «genuflettersi ». Ma sai come sono questi del Pdl, sempre a far peccato pensando male pur di azzeccarci. E così tutti ci avevano creduto. Anche perché lui, il sindaco, in quella rabbiosa assemblea del «non posso più andare avanti così» aveva usato toni duri e definitivi e drammatici, quelli di un primo cittadino che ha fatto tutto e di tutto per rimettere in piedi la sua città distrutta dal sisma, ma che è stato lasciato solo, non solo da un governo ostile, ma persino dalla sua parte politica. Lui il gigante, loro gli ominicchi presi ognuno soltanto dal proprio orticello. Un po’ Nunzio Filogamo, «cari consiglieri vicini e lontani», un po’ Blade Runner , io ho approvato bilanci che voi umani... e un po’ Fidel Castro del «la historia me absolverà», con quell’ultimo passaggio in cui, minaccioso e grave, aveva sillabato: «La storia giudicherà per ciascuno di noi». «Nella Storia non c’è più nemmeno un bar dove raccontarsela, la storia» aveva risposto ironica la comunità aquilana riunita su Facebook , quelli che «siamo finiti qui, nella città virtuale, perché la città vera è in ginocchio, e tu te la svigni?». Che poi. Quale fosse davvero il motivo del disperare non è che fosse proprio chiaro. La decisione di lasciare il primo cittadino l’aveva presa sull’onda emotiva di fronte all’ennesimo vuoto fra i banchi della sua maggioranza, file rouge della sua amministrazione già da prima del sisma. «Getto la spugna perché da mesi sono con una pseudomaggioranza e dal punto di vista generale è tutto fermo» aveva ringhiato. Dieci giorni dopo, era il 17 marzo e l’Italia festeggiava i suoi 150 anni, aveva declinato l’invito a partecipare alle celebrazioni a Montecitorio denunciando, in una letteraccia ai presidenti delle Camere Fini e Schifani, la mancata e bloccata e anzi addirittura «contrastata»ricostruzione dell’Aquila, motivo per cui lui invecedi andare a Roma avrebbe occupato «il devastato palazzo Margherita, nel centro storico della città,sede del Comune dell’Aquila fino alla data del sisma, per tentare di ricordare all’Italia intera e alle sue istituzioni che c’è un pezzo di Paese ormai completamente abbandonato a se stesso e senza prospettive». Ed ecco il punto.
In realtà, le prospettive all’Aquila ci sono, sotto forma di diconsi 12 milioni di euro destinati al sociale e tutti da spendere. Solo che Cialente non li spende, denunciano da mesi Regione Abruzzo e governo. Dice lui che è colpa degli altri, che i fondi sono fermi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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