La terza via che non c’è

Il grande timoniere Mao scrisse sulle «contraddizioni nel popolo», un suo modo di superare l’unità monolitica della classe operaia. E vi sono contraddizioni nel popolo dell’Unione e dell’Ulivo dopo la fastosa nascita del Partito democratico, visto come un plebiscito di cui non si sa chi sia il referente: un popolo selezionato come un partito, ma che pretende di avere l’investitura dagli uomini e dalle donne comuni. Né minoranza eletta da se stessa, né maggioranza di elezioni politiche regolari. Una terza via insomma: né carne, né pesce.
Questo singolare evento che è il Partito democratico ha in sé le contraddizioni evocate da Mao. La prima, e la più formale, è la diversità dall’Ulivo più Unione, cioè della maggioranza di Prodi, con il nuovo partito che vuole essere maggioritario, come è stata in Italia solo la Dc. Vasto compito! Per ora Veltroni canta contento come il duca di Mantova: «Questa e quella per me pari sono». Ma gli ascoltatori non si lasciano trasportare dalle parole soavi.
C’è un contrasto tra il futuro partito maggioritario e Rifondazione comunista e con gli altri partiti, candidati a costituire una plurale Cosa rossa, fatta di frammenti che rimangono identici. Ma non è da sinistra che sorge il problema, anche se apparirebbe il più vistoso. I rifondatori hanno capito che non c’è nessun miglior posto per esercitare l’antagonismo contro la società borghese che siedeva nel governo del Paese. Tornare all’opposizione sarebbe ormai tornare ai centri sociali e ai movimenti che di fatto si sono estinti. Bertinotti, presidente della Camera, ha un motto da antico romano: «Qui rimarremo ottimamente».
Le cose sono diverse nelle componenti di destra della coalizione. Clemente Mastella ha portato il suo tesoretto calabro-campano di poco più di mezzo milione di voti: voti marginali, preziosi. Sperava di crearsi una rendita di posizione, rimanendo democristiano e popolare europeo e anche ministro del governo Prodi: si è invece trovato di fronte all’incubo. L’attacco partito da Milano con Mani pulite ora si sposta al sud e centra proprio lui, Clemente, assieme all’esponente della Compagnia delle Opere Saladino (che viene dalla sinistra extraparlamentare) e addirittura il presidente del Consiglio.
Di Pietro è tornato Di Pietro, ora ha ripreso la toga che, con gesto altamente significativo, lasciò sui sedili del tribunale quando terminò il processo contro Craxi. Ora la riacciuffa contro Mastella; e ha a suo favore non più i giornali, ma il nuovo strumento della comunicazione diffusa: il blog, che connette individuo a individuo, forma solidarietà non costituendo corpi collettivi, può nascere e morire ogni giorno senza obbligo di continuità. E poi dove andare, se c’è il Partito democratico? Lì non lo vogliono, e lui non vuole nemmeno andarci. Clemente resta sfitto, un aggettivo terrificante: «E adesso pover uomo?» Lui guarda speranzoso verso il lido antico da cui si è mosso, guarda verso Casini e oltre...
Ma un altro che esce sfitto a destra dalla nascita di un partito maggioritario che vuole voti a destra, è proprio lui, Tonino Di Pietro è in caccia: e dove punta l’arco? Evidentemente verso An. Non è stato lui il primo sdoganatore di Fini, quando i missini romani lanciavano le monetine a Craxi? Non erano Samarcanda e Milano Italia le trasmissioni televisive che hanno visto Fini schierato sotto le bandiere di Di Pietro? Fini è in cerca di come sottrarsi all’abbraccio di Berlusconi. Certo si rende conto che una destra giustizialista è più minoritaria del Msi come punto di partenza elettorale: ma, insomma, tutto fa brodo.
Di Pietro conta di aumentare nei sondaggi, di poter usare molto meglio la dimensione virtuale che lui, mago del computer, pratica con facilità. Di fatto è lui che fa mancare voti al governo. E poi si sente protetto politicamente, è la voce politica della magistratura che conta, e come conta, in questo governo.
E infine il grande dissidente, Lamberto Dini, che in realtà non è sfidato soltanto dal Partito democratico, ma dal fatto che la Margherita è stata interamente mangiata dalla sinistra democristiana. La componente laica e liberale è stata politicamente fatta fuori con intenzione, emarginata con decisione. Dini non ha più né partito né elettorato: sembra che lui sappia già che fare. Anche lui guarda oltre...


Abbiamo tenuto per ultimo il conflitto più radicale: quello in corso tra Parisi e Marini, una lotta interamente intracattolica e intrademocristiana che si combatte da decenni. Questa è la contraddizione principale tra le contraddizioni del popolo che vinse, per un soffio, le elezioni di aprile.
Gianni Baget Bozzo
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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