Sviluppato e testato un test del sangue per predire il rischio di ammalarsi di Alzheimer. E' stato sviluppato a Roma dai ricercatori del Policlinico Gemelli e dell'ospedale Fatebenefratelli. Misura le concentrazioni plasmatiche di rame nel sangue di soggetti a rischio, quello non legato a proteine e quindi capace di circolare fino al cervello e danneggiarlo. Il test è stato convalidato in un lavoro appena pubblicato sulla rivista Annals of Neurology. Chi ha concentrazioni plasmatiche di rame libero superiori alla soglia massima dei soggetti sani ha un rischio circa triplicato di ammalarsi di Alzheimer, a parità di livello di declino cognitivo presente al momento del prelievo.
La malattia di Alzheimer, la più comune causa di demenza, colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni (una persona su venti di quelle che hanno superato i 65 anni), in Italia si stimano circa 500mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, altre sono qualle causate da lesioni vascolari del cervello e da tipi di demenza simili all'Alzheimer ma con disturbi del comportamento (forme frontali) e dei movimenti (lewy body) più evidenti.
La malattia provoca una alterazione delle funzioni cerebrali, colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Questa patologia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 descrisse per primo i sintomi e gli aspetti neuropatologici della malattia. L'unico modo per avere una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è l'identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l'autopsia dopo la morte del paziente. La diagnosi precoce è importante perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia. Purtroppo non esistono farmaci in grado di fermarla e farla regredire e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, alcuni farmaci possono aiutare a limitare l'aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Questi principi attivi funzionano come inibitori dell'acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l'acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di Alzheimer. Perciò inibendo questo enzima, si spera di mantenere intatta nei malati la concentrazione di acetilcolina e quindi di migliorare la memoria.
Altri farmaci, inoltre, possono aiutare a contenere i problemi di insonnia, di ansietà e di depressione. Da qualche mese è disponibile anche in Italia, per i pazienti nelle forme lievi e moderatamente gravi, la formulazione da 13,3 milligrammi di rivastigmina, cerotto transdermico realizzato dai ricercatori dell'industria farmaceutica Novartis. Si tratta di un inibitore della colinesterasi, che agisce bloccando gli enzimi che degradano il neurotrasmettitore acetilcolina, contribuendo così ad alleviare i sintomi della demenza connessa a patologie neurologiche come la malattia di Alzheimer. Con oltre dieci anni di storia, questo farmaco è un caposaldo nell'area delle patologie neurodegenerative. Nei pazienti affetti da Alzheimer, alcune cellule nervose muoiono all'interno del cervello; ciò determina un abbassamento dei livelli di acetilcolina (una sostanza che permette alle cellule nervose di comunicare efficacemente tra loro).
La rivastigmina agisce bloccando gli enzimi che la degradano. In tal modo, questo farmaco favorisce un aumento dei livelli di acetilcolina nel cervello, contribuendo a ridurre i sintomi della demenza dovuta ad Alzheimer.
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