Roma

Thomas Bernhard La solitudine del grande attore

Un soliloquio disincantato, interrotto dalla presenza di una bambina e incastonato in un rifugio dove fare i conti con i propri fallimenti e la propria inadeguatezza. È una complessa partitura il monologo «Semplicemente complicato» di Thomas Bernhard che ora Stefano Santospago porta in scena al Piccolo Eliseo su regia di Cesare Lievi. Al pari di quanto capita in altri capolavori del drammaturgo austriaco anche qui è il sostrato metateatrale a fungere da situazione paradigmatica in cui scandagliare le contraddizioni di cui è puntellata «la vita di chiunque cerchi di arrivare a una propria rappresentazione del mondo». Il chiunque in oggetto è un vecchio istrione ottantenne che recita la sua storia in «una stanza misera e tramandata», davanti a un pubblico che non c’è e con indosso una corona regale - quella del Riccardo III di Shakeaspeare - che rappresenta in fondo l’ennesima sfida persa, l’ennesima resa. In questo flusso di coscienza fitto di ricordi e rancori, l’unico contatto con la realtà è rappresentato dalle visite di Katharina, una bimba che gli porta quotidianamente del latte. E se nell’oscillazione tra il teatro come possibilità di resistenza di fronte al caos e il teatro come, viceversa, dimensione umana inabile a stabilire un rapporto con la realtà, si consuma tutta l’angosciante disamina di questo reduce, di questo «sopravvissuto» che ha studiato matematica in prestigiose università ma che sin da piccolissimo sapeva di poter essere un perfetto Riccardo III. E invece neanche Shakespeare lo ha tenuto a riparo dalla deriva. Un ruolo dunque non facile per Santospago, che senza dubbio saprà mettere a servizio del vecchio attore di Bernhard tutto il suo talento, facendoci (ri)innamorare di un autore che ha saputo raccontare la fragilità moderna con scomoda, lucidità.

Fino al 17 maggio.

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