Ci sono saggi storiografici che, più di altri, aiutano a capire il presente. E ci sono saggi storiografici che, a differenza di quasi tutti gli altri, sono anche fisicamente godibili, una festa per gli occhi. Rientra in entrambe le categorie il volume di Angelo Ventrone - raro docente universitario che sa anche scrivere - Il nemico interno. Immagini e simboli della lotta politica nellItalia del Novecento (Donzelli, pagg. 338 + 119 illustrazioni, euro 27).
Il «nemico interno» altri non è che lavversario politico, cui si attribuiscono le peggiori caratteristiche umane e le intenzioni più malvagie, per renderlo temibile, spaventevole, ripugnante, odioso. Non dobbiamo andare per niente lontano, a cercare esempi, basta un passetto indietro, poco più di un mese fa, durante lultima campagna politica: chi non ricorda luscita berlusconiana sui comunisti che, non contenti di mangiare i bambini, prima li fanno bollire? E per quanti anni la sinistra, prima di vincere le elezioni, ha tormentato il Paese spiegandoci che Berlusconi e le sue televisioni avrebbero creato un regime, un nuovo fascismo?
Il tema del nemico interno è antichissimo, forse quanto la storia umana, e ne sappiamo qualcosa noi italiani, che da sette secoli e passa siamo ancora divisi in guelfi e ghibellini. Papà Dante non era forse specializzato nel raffigurare i suoi nemici politici come meritevoli delle peggiori pene dellinferno? La madre moderna di tutti i processi di demonizzazione dellavversario politico, però, è stata la rivoluzione francese: Luigi XVI, per esempio, prima di finire sulla ghigliottina (ma anche dopo) veniva rappresentato spesso come un maiale, anticipando così, scrive Ventrone, «lo stereotipo del capitalista grasso, rozzo e volgare, così comune nella propaganda socialista e poi comunista». Anche nel nostro Risorgimento non mancano esempi simili. Con aspetti suineschi veniva sovente rappresentato Pio IX, colpevole di ostacolare lunità italiana; mentre i briganti meridionali - che combattevano per lindipendenza del Sud in una vera guerra civile - venivano descritti dai piemontesi come selvaggi capaci di ogni più crudele efferatezza.
È stato però nel Novecento che la propaganda contro lavversario di turno ha assunto aspetti di violenza estrema, sia nel linguaggio sia nelle immagini, secondo stereotipi definiti precisamente da Ventrone: in tutto il mondo ma, si direbbe, con particolare entusiasmo in Italia. Accanto a un nemico esterno, sempre deciso a opprimerci e a privarci della libertà, cè sempre stato un nemico interno (e per questo più odiato) alle dipendenze di quello esterno.
Si cominciò, dopo un preludio nella guerra di Libia, con le polemiche scatenate dal movimento interventista contro i neutralisti e i «disfattisti» nemici della patria, che a loro volta dipingevano i «guerrafondai» come affamatori del popolo, decisi a portarlo al massacro per avidità di potere e denaro. Se nel Medioevo gli ebrei venivano raffigurati giallognoli, dai tratti mostruosi e simili alle streghe e ai diavoli, la musica non è molto cambiata nel secolo appena trascorso: infatti la bruttezza e la deformità fisica del nemico «servono a descrivere i segni di una più profonda e sostanziale bruttura morale, e lenfatizzazione dei misfatti del nemico e della sua irriducibile diversità hanno lobiettivo di accrescere lodio nei suoi confronti e di legittimare i sacrifici che il conflitto richiede». Ovvio che, contro un simile avversario, anche la parola perde ogni sfumatura per diventare brutale, per spingere apertamente allodio e alla violenza.
Fu così che, soprattutto dopo Caporetto, la propaganda riuscì a fare del nemico tedesco - raffigurato come il più selvaggio e crudele dei popoli - una vera e propria ossessione per lopinione pubblica nostrana. Il «tedesco» era un essere mostruoso appollaiato su un globo terrestre ingrigito e spopolato dalla sua follia distruttiva: non passeranno molti anni prima che, durante il fascismo, sia il nemico bolscevico interno ed esterno a assumere lo stesso aspetto. Daltra parte la propaganda di sinistra non mancava di raffigurare Mussolini e il fascismo come un «flagello» paragonato senzaltro alla peste, e nella propaganda antifascista infatti la morte fu sempre affiancata allimmagine del regime.
Tutto ciò, naturalmente, toccò il suo acme durante la seconda guerra mondiale e la conseguente guerra civile italiana. È esemplare un volantino raffigurante un grande, orribile Hitler che manovra come un burattino il duce, impegnato a mandare a morire i nostri soldati. La propaganda fascista, da parte sua, raffigurava un soldato americano (naturalmente di colore e quanto mai brutale) mentre rubava la scultura di un busto femminile, simbolo della violenza contro la nostra civiltà e contro le nostre donne.
Lo stereotipo del mostro che vuol diventare padrone della terra fu ripreso nel secondo dopoguerra anche dal mondo cattolico in generale e dalla Democrazia cristiana in particolare. Ma anche dal Partito comunista, che si specializzò in mostruosi orchi statunitensi, serviti e riveriti da segaligni e untuosi democristiani. Il capolavoro-simbolo della propaganda contro il nemico esterno e interno è, forse, la cartolina diffusa nel 1948 contro il Fronte democratico, che aveva come simbolo un bonario Giuseppe Garibaldi; un ritocco allimmagine, ed ecco che bastava capovolgerla perché apparisse una paurosa raffigurazione di Stalin.
Lultima delle 119 illustrazioni del volume - fra manifesti, volantini, vignette, cartoline - è un manifesto antiberlusconiano del 2003, a dimostrare che, nonostante la comunicazione mediatica delle idee si sia fatta ben più raffinata, poco è cambiato nella sostanza.
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