«Togliamo le isole pedonali, uccidono la città»

Marta Bravi

«La Bicocca? Un’occasione sprecata. Piazza Cadorna? È disordinata: a Gae Aulenti do 6. Il progetto della Fiera? La città non si fa con contributi comprati nel negozio dell’architettura. Piazza Sempione? Morta per cattiva manutenzione. Corso Garibaldi e corso Porta Ticinese? Un orrore. Ovvio che i writer dipingano sui muri. Piazza Duomo una tomba, capisco i peruviani che si ubriacano, così come la naturale conseguenza del quartiere sant’Ambrogio sono le pere». Philippe Daverio ne ha per tutti. Il suo sarcasmo pungente non risparmia nessuno, così come non si preoccupa di nascondere il suo odio per Milano. Odio forse maturato durante l’esperienza come assessore alla Cultura, Tempo Libero, Educazione e Relazioni Internazionali di Palazzo Marino, «l’unico che si salvò dal naufragio della giunta Formentini» come sostiene Paolo Del Debbio.
Difficile rimanere indifferenti al pessimismo cosmico di Daverio: «Milano è morta, non succede più nulla qui, i milanesi si sono “rincoglioniti”, continuano a credere che esistano ancora gli operai che la domenica vanno a passeggiare in centro con la fidanzata a mangiare il gelato. Ecco il perché dei marcipiedi allargati e delle isole pedonali, che sono la morte delle città. Dieci anni di governo di destra hanno lasciato intatti gli uffici stalinisti (avvertenza per il lettore: nel vocabolario daveriano “stalinista” è usato per riassumere una visione della città nella quale gli operai stanno nelle periferie e vanno in centro nel tempo libero). A Chicago, Monaco, Colonia ci si è accorti dell’errore 35 anni fa. A Milano ancora no». Vi faccio vedere cosa intendo...
In sella alla Vespa
Una manciata di secondi e la trasformazione è compiuta. «Passando accanto a queste case, sento un odore di tute indossate al posto dei vestiti, un odore di video cassette, cani in giardino a far la guardia e pizze pronte dietro scatole di cartone... Scusi ma perché siete venuti ad abitare qui a Casal Palocco? - chiede Nanni Moretti - ma guardi che verde, la tranquillità...». Philippe Daverio ci guida a bordo della sua Vespa blu, con tanto di ruota sgonfia, a caccia di brutture e non sensi meneghini. Il tour parte da piazza Bertarelli.
Piazza Bertarelli
«Il verde», risponde entusiasta il romano interpellato da Moretti. «Il verde», sospira sconsolato Philippe Daverio indicando l’aiuola della piazza: «Le sembra che questo sia verde? Ma che senso ha? Non era meglio com’era prima con la rotonda e le macchine che ci giravano attorno senza questo marciapede da socialismo reale. Un conto sono i parchi inglesi che si vedono in Blow up, ma le città italiane storicamente sono fatte di pietra, non di verde, sarebbe ora di capirlo». Un paio di metri e siamo in corso Italia all’altezza del 15, davanti all’edificio progettato da Moretti negli anni ’50: «un masterpiece dell’architettura. Solo a Milano si può pulire un palazzo in questo modo», commenta amareggiato. Il corpo principale dell’edificio, infatti, è stato ripulito, l’altra parte, invece, è annerita dallo smog. «Così non si capisce che è un edificio unico - sottolinea “Nanni” Daverio - è assurdo. A Londra c’è l’obbligo di pulire le facciate esterne dei palazzi ogni dieci anni e quelle interne ogni venti». «Milano è laida e degradata. Questa la sua rovina. Non conta tanto il tratto architettonico di un edificio quanto la sua manutenzione. L’architettura contemporanea necessita di un linguaggio appropriato - filosofeggia Philippe “Moretti” -. Un castello abbandonato assume un’aria romantica un edificio del 2005 degradato fa schifo».
Giacca di lino svolazzante e sigaretta sempre accesa, Daverio fa lezione dalla Vespa: «Il problema di piazza Sempione non è che Viganò ha sbagliato, quanto lo stato di abbandono in cui si trova. Nei caselli ci dormono i barboni e gli ubriachi. Li ho visti con i miei occhi. Si divertono a tirare i sassi contro i bassorilievi dell’Arco. Una pulita, due brasserie sulla piazza e il gioco è fatto». Stesso discorso per il centro...
Piazza S. Alessandro
Davanti alla Chiesa di Sant’Alessandro, «prototipo di architettura barocca», hanno messo dei paletti. Risultato? La piazza è diventata un parcheggio per motorini. «Non è questa la funzione di una piazza - sbotta il critico -. Per non parlare dei lampioni... Possibile che a Milano, capitale del design e sede di Artemide e Flos, ci siano questi lampioni orrendi? A Francoforte non ce n’è uno sbagliato».
«Nanni» Daverio risale sulla Vespa, indignato. «Adesso le faccio vedere Beirut 1943». Basta girare l’angolo per avere uno scorcio post bellico. Via Lupetta: il rudere di una casa bombardata nella guerra. E non è l’unica. La Milano del terzo millennio abbonda di testimonianze belliche: via del Bollo, via Lupetta, piazza Fontana. «Ciao Philippe!» urla un ragazzo sfrecciando in macchina. «Questa casa è di un privato che ogni anno presenta un progetto improbabile, il comune lo rimanda indietro. Intanto il rudere sta lì e il prezzo del terreno sale. Ma non sarebbe meglio farci un parcheggio ed evitare lo scempio di piazza Sant’Alessandro?».
Milano vuol dire rotaie morte saldamente ancorate al pavé, come quelle di piazza Missori. «Sono quarant’anni - Daverio si scalda - che non passa il tram e le rotaie rimangono. Per non parlare di nove pali per nove cartelli: una questione di appalti». Daverio ha fatto il conto: ogni milanese ha diritto a sette pali. «È questo che autorizza le periferie a essere brutte e degradate». Il brutto di Milano è il centro, non le periferie. «Capisco i peruviani che bevono in piazza Duomo. Il centro è diventato downtown, cioè il centro commerciale, è un non-luogo o meglio il luogo di chi non sa dove andare». La cancellata alle Colonne di San Lorenzo? «Gli amministratori non hanno ancora capito che il colonnato è l’ingresso alla chiesa e ci fanno passare il tram. Altro che giovani che bevono la birra... Al Colosseo le puttane facevano i falò. Non mi risulta che sia crollato».
Area ex Om
«Vi porto a vedere il sogno realizzato di un dittatore comunista», sgnignazza sotto il casco. Siamo in via Pasolini dove è stato edificato un nuovo quartiere nell’area dell’ex Om. «In confronto la Bicocca è il paradiso dell’architettura. Questa è l’esaltazione dell’improbabile, non serve un corso di estetica per capirlo». E adesso... «come l’arte salva le periferie», dice dando un vigoroso colpo di tacco alla pedivella.
Piazza Enzo Paci
Giacca di lino svolazzante e nuvoletta di fumo che si allontana all’orizzonte, Philippe «Moretti» non sta più nella pelle di mostrarci l’ennesimo exemplum di «demenza meneghina». Via Bazzi, via dei Missaglia e giù a destra fino al quartiere Sant’Ambrogio. Il critico d’arte conosce Milano e le sue brutture come le sue tasche. Ecco «il contrappunto necessario dei marciapiedi allargati» esclama davanti al porticato ricoperto di graffiti e spazzatura. «Negli allegri quartieri operai immersi nel verde l’arte che redime le periferie. Questa piazza - ricorda l’ex assessore alla Cultura, e un velo di amarezza gli cala sul volto - è il risultatao degli oneri di urbanizzazione. La statua nella fontana è di Igor Mitoraj, l’altra di Cascella, quotazione due milioni di euro, mentre le mattonelle per terra sono tutte rotte e i negozi mai aperti. Qui chi ha fantasia si fa le pere». Toccata e fuga in via Bo, sede dello Iulm: «L’architettura non è eccezionale, ma è ben tenuta».
Darsena
La Darsena ovvero «come i milanesi si accaniscono contro il bello». «Qui - spiega Daverio - hanno cominciato negli anni ’20 chiudendo la cerchia dei Navigli e costruendo nel dopoguerra le case di viale D’Annunzio, cagate architettoniche. Il parcheggio qui? La cosa più assurda che si potesse pensare.

Questo è l’unico posto dove avrebbe senso un’isola pedonale - sostiene il critico - basterebbe interrare il traffico in via D’Annunzio e costruire un parco archeologico che comprenda la Darsena, la conca Viarenna e le Basiliche». «Ecco trent’anni fa Roma era una città meravigliosa!». La Vespa si allontana all’orizzonte.

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