Il Togo: «Giochiamo per i nostri morti» Ma il governo insiste: tornate a casa

«Avremmo voluto giocare per onorare la memoria dei nostri morti, ma il governo ci ha chiesto di rientrare a casa». La voce del commissario tecnico del Togo Hubert Velud è rotta da un’emozione che filtra nitidamente dai microfoni di Radio Lomé, il network che trasmette ormai in diretta da tre giorni gli umori e le angosce degli sfortunati protagonisti della terribile imboscata nell’enclave di Cabinda. «On respecte cette décision. On est obligé d’obéir», aggiunge Velud che guida la squadra solo da un paio di mesi, ma che era riuscito per il rotto della cuffia a qualificarla per l’Angola a spese del più quotato Marocco (a questo punto possibile sostituto dell’ultima ora).
La morte, come un colpo di machete, ha spezzato vite, speranze e aspirazioni di una squadra che nel 2006 si era affacciata per la prima e unica volta ai mondiali senza peraltro sfigurare. Di quel gruppo faceva parte anche il portiere 25enne Kodjovi Obilalé, in rianimazione al Milpark Hospital di Johannesburg dopo che due pallottole l’hanno colpito al fegato e all’addome. Ironia della sorte la nazionale era l’unica squadra in cui poteva sostenere con orgoglio di giocare per davvero. Cresciuto in patria nell’Etoile Filante, le esperienze in Francia con Niort e Lorient non gli avevano permesso di raccogliere un solo gettone di presenza. Stessa sorte nell’attuale formazione del Gsi Pontivy, club della Bretagna, che partecipa al championnat amateur di quarta divisione. Obilalé sperava di racimolare qualche minuto in questa Coppa d’Africa, nei piani del tecnico Velud si sarebbe giocato alla pari il posto da titolare con il più esperto Kossi Agassa.
Il destino del portiere si incrocia con quello di chi su quel pullman maledetto la vita l’ha persa davvero (secondo un giornale angolano l’autista del pullman su cui viaggiava la nazionale del Togo, dato per morto, sarebbe invece vivo). Stanislas Oclo’o, il responsabile dell’ufficio stampa della federazione, era stato nominato appena lo scorso 30 dicembre. È morto dieci giorni dopo, neppure il tempo di gustarsi la promozione importante dopo una carriera trascorsa a scrivere di sport dalle colonne di Le Temps.
Qualcosa di simile a quanto accaduto ad Amlete Abalo, uno degli assistenti di Velud. Il francese in realtà aveva indicato come collaboratore il connazionale Phillipe Simonin, ma i soldi alla federazione di Lomè scarseggiano, così gli era stato preferito Abalo a costo zero. Anche in questo caso si tratta di una investitura recente: 20 dicembre 2009.
Vite spezzate come matite in un continente che non brilla certo per eccellenti misure di sicurezza nonostante le parole rassicuranti di Blatter che esprime in una lettera inviata al presidente della confederazione africana, il camerunense Issa Hayatou, «fiducia nell’Africa». Forse il suo intendimento riguarda i voti che ha ottenuto proprio da queste parti per farsi rieleggere alla presidenza della Fifa. Tutti reclamano maggior sicurezza, dal presidente del Ghana John Atta Mills a quello della Nigeria Umaru Yaradua, che ha organizzato lo scorso novembre una coppa del mondo Under 17 scivolata via senza intoppi solo perché il Paese, alle prese con una sanguinosa guerra religiosa, è stato militarizzato.
Il Sud Africa ha investito qualcosa come 100 milioni di dollari in gruppi paramilitari e guardie del corpo.

Non per rafforzare la sicurezza, ma per garantirla visto che le forze di polizia locali sono corrotte, spesso alla mercé di bande di trafficanti. Uno scenario inquietante a cinque mesi dal fischio d’inizio dei mondiali.

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