«Torna l’arte che si fa capire»

Beatrice Buscaroli, storica dell’arte di nuova generazione, oggi più nota al pubblico delle mostre per appartenere al duo «B&B», il sodalizio che con il critico Luca Beatrice dirige il nuovo Padiglione italiano alla Biennale di Venezia 2009. Da qualche settimana il duo ha reso pubblica la lista degli artisti che rappresenteranno il Belpaese agli occhi del mondo. Eccoli qua: Matteo Basilé, Manfredi Beninanti, Valerio Berruti, Bertozzi&Casoni, Nicola Bolla, Sandro Chia, Marco Cingolani, Giacomo Costa, Aron Demetz, Roberto Floreani, Daniele Galliano, Marco Lodola, il videogruppo Masbedo, Gian Marco Montesano, Davide Nido, Luca Pignatelli, Elisa Sighicelli, Sissi, Nicola Verlato e Silvio Wolf. Venti nomi e mille metri quadri in più all’Arsenale, in un padiglione nuovo di pacca che si affaccia sull’adiacente Giardino delle Vergini.
Buscaroli, il conto alla rovescia è cominciato e tutti gli occhi sono puntati sui «Beatrici», anche se fino ad oggi ha parlato solo quello con gli occhiali e i pantaloni. Qualche maligno ha ironizzato: due critici ne fanno uno?
«Lasciamoli parlare. Con Luca Beatrice fin dall’inizio c’è stata massima sintonia. A nomina fresca ci siamo incontrati in un bar di Milano e su una tovaglietta di carta abbiamo cominciato a buttar giù i nomi degli artisti. Uno io e uno lui. Più o meno».
Due curatori e venti artisti. Nella scorsa edizione, la curatrice Ida Giannelli ne aveva selezionati soltanto due, il «ricamatore» Francesco Vezzoli e il poverista Giuseppe Penone. È stato più facile puntare sulla quantità?
«Altra malignità. Noi abbiamo voluto seguire alla lettera la preghiera del ministro Bondi che ci aveva chiesto un padiglione che rispecchiasse chiaramente il concetto di italianità negli autori tra i trenta e i cinquant’anni. In tutta onestà direi che lo abbiamo fatto».
Sì, lo avete fatto ma privilegiando come molti si aspettavano la pittura e soprattutto la figurazione. Ammesso che nel nuovo millennio si possa parlare di arte italiana, non è stata forse una scelta un po’ in controtendenza rispetto al panorama internazionale che oggi spinge tutti i linguaggi e soprattutto i multimedia?
«Non sono d’accordo. Lo stesso direttore di questa edizione, Daniel Birnbaum, ha recentemente rivendicato l’importanza di un ritorno della pittura nell’arte contemporanea. Un aspetto che oggi trova riscontro anche negli Stati Uniti. Ricordo quando due anni fa ho fatto parte della commissione giudicante del Premio New York che, a cura del ministero degli Esteri, ha lo scopo di promuovere l’arte italiana. A metà selezione, i commissari della Columbia University ci dissero: per carità, non portateci altri video. L’arte multimediale ha cominciato a stufare anche gli americani. Per altro trovo riduttivo classificare in un’unica categoria la pittura figurativa. Quelli che abbiamo scelto, da Floreani a Pignatelli, hanno estrazioni totalmente differenti».
Fatto sta che continua questa annosa e provinciale querelle che in Italia vede la sinistra sponsorizzare l’arte concettuale e la destra la figurazione. Non trova che la politicizzazione della cultura sia una malattia da estirpare?
«Anzitutto tengo a precisare che nel nostro elenco non ci sono soltanto pittori figurativi. Abbiamo artisti che fanno installazioni, come Sissi, artisti astratti come Davide Nido, artisti che utilizzano il video, come Matteo Basilè e i Masbedo, altri che usano la fotografia come la Sighicelli. Riguardo alla politica, le ricordo che il più grande artista sponsorizzato dalla sinistra italiana è stato in fondo un pittore figurativo, Renato Guttuso e che i regimi socialisti come l’ex Urss hanno prodotto soprattutto realisti. Di contro, il fascismo ha cullato movimenti come il futurismo, pioniere della trasversalità dei linguaggi...».
A proposito di Sissi. Nella vostra lista scarseggiano clamorosamente le artiste donne eppure ne abbiamo di brave. Non ha difeso tanto la categoria femminile...
«Lo so che mi fanno questa critica, ma francamente non me la sono sentita di istituire quote rosa per una Biennale d’arte. Comunque quelle che ci sono faranno un’ottima figura. Siamo quotidianamente in contatto con loro e seguiamo passo passo i progetti di tutti».
Stanno lavorando alacremente, insomma. Avete chiesto solo opere inedite per la Biennale?
«Rigorosamente. Il nostro obiettivo non è presentare al pubblico una lista di nomi, ma fare una vera e propria mostra con opere eccezionali. Sono certa che gli artisti sapranno rispondere alla chiamata».
Diciamo la verità. Nel vostro elenco mancano nomi eccellenti e ce n’è qualcuno così così. Restando nella pittura avete escluso artisti riconosciuti a livello internazionale come Margherita Manzelli, Luca Pancrazzi, Stefano Arienti eccetera. Per la vecchia generazione avete scelto Sandro Chia che, nella transavanguardia, non è stato proprio il numero uno...


«Volevamo rischiare con nostre scelte e d’altra parte neppure prendere nomi già blasonati - come la Beecroft e Cattelan - o già visti in altre Biennali. C’era il pericolo anche di sovrapporci alla selezione di Birnbaum. Ad ogni modo, vorrei che i giudizi arrivassero alla fine e sono sicura che il pubblico ci darà ragione».

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