Piera Anna Franini
da Milano
Una Roma - papale - inquietante. Da incubo. Con la chiesa, dominatrice incontrastata della scena, tutta accartocciata, sghemba, corrosa dalla sovrapposizione di una serie di prospettive. Incombono altari, cappelle, candelabri, dipinti giganteschi. Le tinte sono fosche e dense, gli abiti hanno i colori del lutto, in linea con la violenza che subiscono la scena e i personaggi. La violenza che fa capo al barone Scarpia, motore della vicenda.
È la Tosca di Giacomo Puccini andata in scena giovedì, al teatro alla Scala (dove la si vedrà fino al 6 maggio), secondo l'allestimento, classe 1997, visto e rivisto a Milano: la regia di Luca Ronconi è stata ripresa da Lorenza Cantini, le scene sono di Margherita Palli e i costumi di Vera Marzot. Il cast ha riaccolto la Tosca di Daniela Dessì (presente nell'edizione 2003) e lo Scarpia di Carlo Guelfi. Nel ruolo di Mario Cavaradossi, il tenore Walter Fraccaro.
La novità di questa Tosca riposava nella buca d'orchestra, nella lettura tutta estenuazioni, nostalgie, voluttà e un caikovskijano senso dell'incombenza ricavati dal direttore Lorin Maazel. L'apertura rovescia con una lentezza spasmodica un macigno di suoni grezzi, spigolosi, aspri come vuole quel Novecento che tenne a battesimo Tosca. Spessore e brivido sonoro cui Maazel farà appello nel corso dell'opera nel sottolineare il senso del terribile ma anche dell'orribile, con ottoni portati in prima linea e percussioni taglienti come coltelli.
Tuttavia la tavolozza di questa Tosca di Maazel privilegia le mezze tinte, è fatta di piani e di pianissimi, di sussurri, di un palpitare commovente che non sempre trova una valvola di sfogo. Un senso d'ineluttabilità pervade la lettura di Maazel. La celeberrima aria di Tosca, Vissi d'arte, viene risolta come una lunga preghiera intrisa di malinconia e di pietà con la Dessì che - a dire il vero - estende morbidezza del canto (e del personaggio) all'intera opera. La sua Tosca è sempre e comunque lirica e sognante, donna più incline ai tabernacoli che alla passione della donna innamorata e dell'artista, incarna il ruolo di una cantante, dopotutto.
L'orchestra traduce con un soffio sonoro Recondite armonie e Fraccaro risponde con un canto vaporoso, tutto sul fiato: bella fatica - ma i risultati appagano - per un tenore più incline al grande gesto sonoro che al fraseggio minuto cui viene condotto per mano da Maazel. Bella voce quella di Fraccaro che però non brilla per livello di introspezione psicologica.
Un plauso per il pastore di Patrizia Drei. Bene lo Scarpia più che rodato di Carlo Guelfi, d'un cinismo che l'eleganza di questo baritono rende ancora più acido: nellEbbene? che attende la risposta di Floria Tosca s'infiltra un tono beffardo e allusivo, e la parola non detta risulta ancor più carica di significato. È pura perfidia quella che anima il Te Deum a contrasto con il morbido tappeto dell'orchestra. Maazel crea attorno al personaggio di Scarpia un clima di alta tensione, un senso del torvo e del repellente.
Il teatro è stato preso d'assalto da un pubblico internazionale e vacanziero, evidentemente incurante della santità del giorno.
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