da Roma
Lo trovi di primissima mattina al telefonino, un po’ allibito e un po’ sconvolto. La voce di Claudio Burlando è roca, pare segnata da un tono di rassegnazione: «Sapevo che avrei ricevuto questa telefonata... erano sei giorni che vivevo con un nodo di angoscia nel petto...». Il «nodo» è quell’attimo di delirio sulla rampa Genova-Aeroporto, la corsa contromano, il terrore che si diffondesse la notizia.
Onorevole Burlando, come ci spiega quello che è successo?
«Un errore.... un errore gravissimo... un errore, punto».
Questo si capiva già.
«Io da trentacinque anni guido la macchina. Mai preso una multa, non un eccesso di velocità, non un divieto di sosta, capisce?».
Ma ha capito che la sua era una manovra da ritiro-patente?
«È dall’alba che il mio telefonino squilla. Ho sbagliato. Ma non mi riconosco nel modo in cui questa storia viene rappresentata... Se vuole gliela racconto tutta».
Non è vero che lei andava contromano?
«No, quello sì. Ma non è affatto vero che fosse un’autostrada...».
Era una superstrada che portava a un’autostrada.
«Sì, ecco. È un’altra cosa. C’era una biforcazione, mi sono distratto, scendevo dalla collina degli Erzelli: un posto incredibile, tutto svincoli, chiunque poteva sbagliare...».
Però anche in questo "La Repubblica" ha scritto la verità.
«Ma non mi hanno nemmeno chiamato per sentire la mia versione! Lei lo sta facendo, loro no».
Perché avevano un verbale, sottoscritto anche da lei.
«Sì, ma non è vero che ho corso per chilometri! Non è vero!».
Però la mappa del suo percorso sembra un gioco della Settimana enigmistica.
«Sì, ma saranno stati ottocento metri! Un tragico errore. Che devo dirle? Che sono distrutto? Bene, lo sono. Scriva: dis-trut-to».
La cosa che pare più incredibile, leggendo la cronaca di Massimo Calandri, è...
«Cosa?».
...che lei abbia mostrato un tesserino da deputato scaduto alla polizia.
«Ah, ma anche questo glielo posso spiegare. Posso chiarire».
Prego.
«Intanto non è che mi servisse un documento. I poliziotti mi hanno detto subito: “L’abbiamo riconosciuta!”. Io non ho bisogno di essere riconosciuto, dopo essere stato sindaco, ministro, presidente di regione in Liguria...».
A maggior ragione, allora, non aveva senso mostrare il tesserino. O no?
«Eh no... Non è esattamente così. Perchè uno dei signori che mi venivano incontro...».
Dove?
«...Prima, quando ero per strada, e avevo sbagliato corsia. Era molto arrabbiato, giustamente: mi ha riconosciuto anche lui, ha preteso che mi sanzionassero prima di andarsene».
Aveva ragione.
«Per carità. Ma sono il primo a dire che era colpa mia. Quando ho capito mi sono fermato e ho subito accostato...».
Mi pare ovvio.
«Ho detto: voglio la multa!».
Ma perchè mostrare quel tesserino da onorevole, allora?
«Guardi... Gli agenti mi hanno detto: “Noi sappiamo chi è lei, ma serve un documento identificativo per accertare le sue generalità in modo formale”».
Quel documento non lo aveva...
«No purtroppo! Ci crede? Tengo tutti i documenti insieme nella borsa, e quel giorno, proprio quel giorno maledizione, l’avevo dimenticata a casa».
E come mai aveva proprio il tesserino parlamentare, visto che non è più deputato?
«Ecco, vuole proprio che le dica il motivo? La verità?».
Certo.
«Avevo solo quello perchè... È un tesserino vecchio, logoro, che però è... piccolino, pratico. Entra comodamente nel portafoglio».
Non ha pensato che avrebbe potuto mettere gli agenti in imbarazzo, con una sorta di tacito lei-non-sa-chi-sono-io?
«Ma le ripeto, sapevano già chi ero! E io ho detto, gridato: “Datemi il massimo della multa!”».
Non le hanno risposto che fa, concilia? come Alberto Sordi?
«No, giuro».
E non le è sembrato strano?
«Ero sconvolto».
A verbale c’è scritto che si sono «astenuti» dal farle la multa.
«Non lo sapevo. Me lo dice lei».
Ma è vero che era al telefonino, quando l’hanno fermata?
(Una pausa). «Perchè me lo chiede scusi?».
Guardi, è scritto nel verbale.
(Respiro profondo). «Sì, ero al telefonino. Ma avevo l’auricolare».
Stava parlando?
«Sì. Ma quando mi hanno fermato, ho chiuso subito la conversazione».
Ha la passione per la velocità?
«Macchè, ero su una monovolume Mitsubishi...».
Una Space runner...
«È una vecchia macchina che ho da anni».
Un normale cittadino sarebbe finito in manette?
«Io ho pensato che mi abbiano trattato come chiunque».
Ma non si è stupito che non le abbiano fatto la multa?
«Guardi, glielo ripeto. Due ore dopo ho visto il Questore e anche lui ho detto: Ho fatto una sciocchezza, “Voglio la multa”».
Però non l’ha ancora ricevuta.
«Mi ha detto che l’avrebbero inoltrata dopo aver acquisito il verbale. Forse non è ancora accaduto, non lo so».
Dove ha visto il Questore?
«Per caso, allo stadio Marassi, in tribuna. Accade spesso».
Non le è venuto il sospetto che qualcuno le abbia voluto fare una cortesia?
«No, giuro! E poi che cortesia sarebbe? Guardi in che condizioni sono finito! Con questo vento di antipolitica che soffia, poi».
Però la notizia poteva anche non uscire.
«Senta davvero non so come dirlo: Chessaddafà? È accaduto. Ma in quell’articolo tutto è costruito per far sembrare ciò che non è».
Pensa che "La Repubblica" ce l’abbia con lei?
«Non dico questo... Vede, il prefetto mi ha offerto la scorta, io l’ho rfiutata. L’avessi avuta non avrei guidato io, e non avrei commesso questa infrazione. Capito?».
Si sente «uno della Casta»?
«Sono una persona sobria. Pensi che io non ho mai usato i cosi che usano tutti, tutti!».
Quali «così»?
«Quelli luminosi... i lampeggiatori, ecco. Mai messi su!».
È possibile, secondo lei, che ci sia stato un occhio di riguardo per lei?
«Senta, so che essendo stato ministro, essendo presidente di Regione... Sarei sciocco se mi chiamassi fuori. Ma più di quel che ho detto io cos’altro potevo fare?».
Veramente le sto chiedendo un’altra cosa. Lei pensa che ci sia stato un... eccesso di zelo?
«Non lo so.
Ha pensato che stavolta finirà dritto in uno sketch di Beppe Grillo?
«Sì, ovvio. Ma che devo dirle? Sono pronto a sopportare tutto».
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