Tramonta il regno della DC del Sol Levante

L'avvenimento è già stato paragonato alla caduta del muro di Berlino: dopo 54 anni di governo, interrotti per soli undici mesi nel 1993, il Partito liberaldemocratico giapponese (Ldp) è stato sbaragliato alle elezioni. Ha perso circa 200 dei 315 seggi che aveva nel Parlamento di 480 deputati e - cosa gravissima in Oriente - anche la faccia. Buona parte dei suoi notabili sono stati sconfitti nei rispettivi collegi da giovani rampanti del Partito democratico (Dpj), subito soprannominati «gli assassini».
Il premier Taro Aso, distintosi soprattutto per le gaffe, ha ammesso la sconfitta e si dimetterà nei prossimi giorni per lasciare il posto al capo dell'opposizione, che disporrà della maggioranza assoluta in entrambe le Camere: Yukio Hatoyama, 62 anni, laurea in ingegneria negli Usa, fuoruscito dall'Ldp nel 1993, moglie ex attrice di musical e autrice di libri di cucina, a sua volta politico di quarta generazione e nipote di un premier della ricostruzione postbellica. Non proprio un uomo nuovo.
Gli elettori hanno votato in massa per il Dpj non tanto per fiducia nel partito, costituito appena 11 anni fa, quanto perché sentivano il bisogno di un cambiamento. Da quasi vent'anni il Giappone si dibatte in una profonda crisi: il Pil del 2008 è stato pari a quello del 1996 e potrebbe cadere quest'anno di quasi il 10%. La disoccupazione è salita al 5,7%, cifra enorme per un Paese abituato al pieno impiego, il debito pubblico ammonta ormai al 180% del Pil. Con una popolazione che sta invecchiando rapidamente, la spesa per pensioni e sanità pubblica è destinata ad aumentare a dismisura nei prossimi anni; ma i giapponesi, gelosi della propria identità etnica e dei propri diritti, rifiutano sia di aumentare l'età pensionabile (oggi fissata a 60 anni) sia di ricorrere all'immigrazione per integrare la forza lavoro.
Hatoyama dovrà perciò affrontare senza indugio una serie di problemi intrattabili con un partito del tutto privo di esperienza governativa, un’eterogenea coalizione di transfughi dell'Ldp, ex socialisti e cani sciolti di varia estrazione. Il punto più interessante del suo programma è il ridimensionamento della burocrazia ministeriale, che sotto i liberaldemocratici ha fatto il bello e il cattivo tempo ed è considerata la principale responsabile della progressiva sclerotizzazione di quella che rimane - ma ancora per poco - la seconda potenza economica mondiale. Pochi, peraltro, pensano che possa vincere questa battaglia. Per il resto, le novità vanno piuttosto nella direzione sbagliata: cancellazione di alcune riforme liberalizzatici dell'ex premier Koizumi, considerate responsabili dell'aumento della disoccupazione e delle tensioni sociali, e aumento dei sussidi agli agricoltori e alle famiglie (180 euro al mese per figlio); in politica estera, una maggiore autonomia dagli Stati Uniti, più attenzione alla Cina e - forse - la sospensione dell'assistenza che la flotta giapponese offre attualmente nell'Oceano Indiano agli alleati impegnati in Afghanistan.
Hatoyama, che ammette di intendersi poco di economia, è convinto di potere realizzare il suo programma senza alzare le tasse per i prossimi quattro anni, semplicemente eliminando gli sprechi che hanno contribuito a rendere così impopolari gli ultimi governi liberaldemocratici; ma quasi nessuno ci crede.
Se le elezioni di ieri si tradurranno davvero in una svolta epocale rimane quindi da vedere. Per quanto si collochi, in teoria, più a sinistra dell'Ldp, e abbia fatto presa soprattutto sui giovani, il Partito democratico non ha una chiara ideologia ed è, come il «dinosauro» che ha battuto, soprattutto una coalizione di interessi. Nonostante la straordinaria ascesa degli anni Settanta e Ottanta, il Giappone non ha mai saputo esprimere una classe politica d'eccellenza e - con un paio di eccezioni - i molti primi ministri che si sono alternati alla sua guida non hanno lasciato un gran ricordo.

Con la svolta di ieri, il sistema-Paese responsabile del boom, basato sul triumvirato Ldp-burocrazia-grande industria, sembra avere fatto il suo tempo; ma costruirne uno nuovo più adatto ai tempi è impresa da far tremare le vene e i polsi.

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