Tristi, tecnici e pure poco seri

Finché si tratta di colpire i deboli, tagliano, i tecnici tassano e mazziano. Quando invece si tratta di scontentare la sinistra o il sindacato, le banche o le ca­­ste, allora fanno marcia indietro

Tristi, tecnici e pure poco seri

Anche i tecnici in Italia non sono una cosa seria.

Finché si tratta di colpire i deboli, pen­sionati, categorie inermi o generici con­­tribuenti, i tecnici tagliano, tassano e mazziano.

Quando invece si tratta di scontentare la sinistra o il sindacato, le banche o le ca­­ste, allora fanno marcia indietro. E così tornano le commissioni bancarie, non si toccano gli sprechi pubblici e le riforme del lavoro si annacquano negli anfratti del parlamento e poi nei tribunali.

Con ridicoli stratagemmi verbali: co­me per esempio quell’italianissimo e furbissimo «salvo intesa», che serve a socchiudere la porta, a dire tutto e nien­te. O quell’altro furbino e demagogico vietare le dimissioni in bianco dei di­pendenti: ma perché prima erano am­messe?

I tecnici dicono di fregarsene del con­senso ma sono succubi dell’assenso, che è assai peggio: ovvero il nullaosta dei Palazzi che contano.

Questo Paese avrebbe bisogno non di tasse ma di giganteschi tagli agli sprechi pubblici; di ripartire ruoli e responsabili­tà nel lavoro; di avere governi decisioni­sti di legislatura, non ricattabili da nessu­no, neanche dal parlamento. Ma la Re­pubblica presidenziale, la cogestione nelle aziende, la riforma per dimezzare i costi della politica non si possono fare.

Odorano di fascismo, dicono i seri; an­che se la prima c’è in America, leader del­le democrazie occidentali, la seconda in Germania, locomotiva dell’economia europea e la terza è richiesta dal popolo, sovrano d’Italia.

Serio non è chi non ride: come mostra Pierrot, si può essere tristi e pagliacci.

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