«Troppi terminal deserti Oggi le torri di controllo sono i nuovi campanili»

Il presidente dell’Enac Vito Riggio: «Ogni Comune vuole un suo scalo, ma così i bilanci vanno in rosso. E l’Italia non riesce a competere con gli snodi internazionali»

«Troppi terminal deserti Oggi le torri di controllo sono i nuovi campanili»

I campanili dell’Italia contemporanea sono le torri di controllo. Simbolo di importanza e modernità, le torri sovrastate dai radar sono lo status symbol delle città; e poco importa poi se sulle piste di atterraggio gli aerei arrivano col contagocce, se il micro-scalo non è collegato con il resto della rete di trasporti o se i bilanci delle società di gestione sono in rosso: se la cittadina a meno di trenta chilometri ha un suo aeroporto, un sindaco non può privare i suoi elettori di uno scalo sotto casa.
«Il principio è quello di sempre, l’impronta culturale che ha segnato, e continua a segnare, la vita italiana. Che oggi, però, invece che nel costruire campanili, si combatte tirando su terminal». Vito Riggio, presidente dell’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, sintetizza così la situazione italiana. E precisa: «Sotto la mia gestione non sono stati aperti altri aeroporti. Anche quello di Cosimo, che è da poco entrato in funzione, era stato approvato già nel 2000».
Perché ci troviamo una situazione del genere? Perché in tutto lo stivale non è mai sorto su aeroporto delle dimensioni di quelli di Madrid, Parigi, Francoforte o Londra? «Eppure le potenzialità ci sono tutte - spiega Riggio -. L’Italia potrebbe certamente competere con gli hub internazionali. Specie al nord, i numeri, considerando traffico commerciale e turistico, ci sono tutti. Ma se poi guardiamo alla situazione...».
La situazione del ricco nord: tanto ricco quanto colonizzato senza discontinuità da piste di atterraggio. Da est a ovest: Aeroporto di Trieste, Venezia, Treviso, Vicenza, Verona, Bergamo, Milano (Linate e Malpensa), Parma, Genova, Torino, Villanova, Cuneo, Aosta. Senza considerare quelli un po’ più a nord, Trento e Bolzano, e quelli un po’ più a sud: Firenze, Bologna, Forlì, Reggio Emilia, Rimini. Le lotte intestine rinascimentali sono riproposte in chiave moderna ma ora, invece che con cavalleria e arcieri i potestà (leggi sindaci e assessori) si sfidano a colpi di prezzario. Perché, dato che Alitalia, la comatosa compagnia di bandiera nazionale, serve solo 19 aeroporti, tutti gli altri scali si arrangiano come possono, cercando di accaparrarsi la presenza di compagnie minori e low cost: le galline d’oro del trasporto aereo, nonostante il recentemente crollo dei profitti di Ryanair, possono assicurare infatti passeggeri e voli in quantità, (ne sa qualcosa Orio al Serio, l’aeroporto bergamasco che sulle frotte di inglesi che vengono in giornata a fare compere in Italia ci ha costruito una fortuna) ma chiedono al contempo tariffe scontatissime, quando non vere e proprie sovvenzioni.
«E il risultato è questo - illustra Riggio -. A fronte di numeri che garantirebbero uno scalo internazionale di primo livello, tutti quei passeggeri vengono sparpagliati in un pulviscolo di scali. Il bacino di utenza però è talmente ricco da far vivere, o sopravvivere, tutti quanti». E al sud, dove i numeri dei viaggiatori, soprattutto del traffico degli affari, non sono così alti, come si spiega la proliferazione di piste di atterraggio? «Lì valgono altre considerazioni. Per la conformità del territorio, è stato storicamente più difficile creare una rete di trasporti efficiente. Quindi moltissimi uomini politici hanno visto in un aeroporto la carta giusta per lo sviluppo di un’area. Compiendo però in numerosi casi un errore: perché uno scalo aereo non può essere gestito solo dal pubblico, deve sempre essere capace di trovare nuovi clienti ed essere competitivo sul mercato. E per fare questo occorre trovare partner privati».
Come fare allora per entrare nella seria A del traffico aereo mondiale? «Ci vuole la volontà delle istituzioni. Così come la politica ha avallato la proliferazione campanilistica di scali e terminal, ora occorre che qualcuno prenda il coraggio a due mani, e dica che la rete aeroportuale italiana deve essere basata su non più di quindici o diciotto aeroporti. Tutti gli altri sono aeroporti regionali utili per altre cose, non per il traffico commerciale». A quanto pare, però, la tendenza rimane quella di ampliare, costruire, rinnovare. A Viterbo, dove sorgerà il terzo aeroporto del Lazio, i cittadini hanno dovuto abbattere la concorrenza di Frosinone.

La capitale ciociara sarà però salvata dal presidente della regione Lazio Piero Marrazzo, che ha annunciato la possibilità di costruirvi un quarto aeroporto laziale: «Uno scalo a carattere regionale, una struttura che serva il bacino del Sud del Lazio e del Nord della Campania». In fondo, un aeroporto non si nega a nessuno.

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