Troppo bella per viverci. La corsa degli stranieri nella terra dei kiwi sfratta i neozelandesi

Arrivano da tutto il mondo per comprare casa. Per i residenti prezzi ormai proibitivi

Troppo bella per viverci. La corsa degli stranieri nella terra dei kiwi sfratta i neozelandesi

Bella, troppo bella. E decisamente troppo cara. La Nuova Zelanda non manca mai in cima a quelle superflue classifiche dei Paesi «Best of» che però tutti andiamo a guardare quando ogni anno escono, puntuali come la cartella delle tasse. E nemmeno il 2018 ha fatto eccezione: il Paese dei kiwi, infatti, è risultato ottavo nel World Happiness Report, la classifica dei Paesi più felici delle Nazioni Unite, ottavo tra i luoghi più adatti dove crescere i bambini, e tredicesima tra i Paesi migliori in cui vivere. Nel Mercer Quality of Living Index che misura la qualità di vita Auckland, la più grande città neozelandese, risulta addirittura terza nel mondo, grazie a un clima favorevole, a una politica e un ambiente sociale stabili e ai buoni servizi medici e sanitari, ma anche in ragione della qualità dell'istruzione.

Se poi a questo aggiungiamo anche i paesaggi mozzafiato, infiniti e selvaggi, la tipica accoglienza della popolazione e il clima decisamente rilassato che si respira un po' ovunque, otteniamo una specie di Paese di Bengodi, tanto lontano quanto desiderabile.

Il risultato di questa pubblicità su scala globale? Molti stranieri sono calati dall'Asia e dal Nord America per acquistare casa in questa terra dei sogni, ritenuta sicura, al riparo da possibili guerre nucleari, eventi climatici catastrofici, inquinamento atmosferico e idrico, e disordini politici o sociali. E lontano il giusto anche da politiche sgradite: secondo l'Associated Press gli americani che hanno fatto richiesta di cittadinanza nel Paese dopo l'elezione di Donald Trump in un anno sono triplicati.

Sta di fatto che millenaristi di nuovo conio, liberal contrariati o semplici miliardari in cerca di un buen retiro, non hanno badato troppo a spese, e i prezzi delle case sono schizzati in alto. In cinque anni solo a Auckland sono saliti dell'80 per cento, anche se nel corso dell'ultimo anno si sono stabilizzati. Intanto, il numero di neozelandesi che posseggono una casa è crollato ai minimi storici: il 63,2 per cento nel 2017. Per arrivare a una percentuale più bassa bisogna andare indietro di 66 anni, al 1951.

Si spiega così la decisione, draconiana, presa ad agosto dal parlamento che, con l'Overseas Investment Amendment Bill, ha impedito gli acquisti immobiliari ai non residenti. Obiettivo: rendere le proprietà più accessibili. Perché, come ha detto un membro del Governo, «siamo stufi di essere inquilini nella nostra terra». Mossa audace, certamente, che per molti non risolverà il problema. Peserebbero di più i bassi tassi d'interesse e il numero limitato di alloggi, e al Governo di Jacinda Ardern si chiede piuttosto di costruire nuove case popolari.

Intanto l'inverno australe è particolarmente duro per le centinaia di famiglie che a Auckland si sono ridotte a vivere in auto, in garage riadattati alla bell'è meglio e persino in container. Luoghi spesso privi dei servizi essenziali, senza elettricità, fognature o cucina. Per loro, certo, la qualità di vita della loro città non è esattamente da podio mondiale.

Chi poi una casa ce l'ha spesso vive in immobili vecchi e malandati, sopportando guasti e cattivo isolamento (durante i mesi più freddi la temperatura di notte può scendere fino a 0 °C) non denunciati per paura che venga aumentato l'affitto o di essere messo alla porta come inquilino «difficile». Tanto fuori c'è la fila. È gente comune, che si alza la mattina per andare al lavoro, che un lavoro ce l'ha ma è strozzata da affitti sempre più alti e in casi estremi deve scegliere tra pagare l'affitto o comprare da mangiare per la famiglia.

Ma non sono solo economici i problemi che devono affrontare gli abitanti degli antipodi, che sulla carta dovrebbero essere tra i più felici del mondo. Solitudine e depressione, mali della nostra epoca, ne saranno sorpresi i compilatori di queste classifiche del buon vivere, da queste parti dilagano.

Come sanno bene Sacha Aislabie e Kate Worboys, ventenni di Auckland che hanno organizzato un gruppo di incontri online per aiutare se stesse e altri a trovare nuovi amici. Troppo lavoro e studio e pochi soldi per incontrarsi al bar o al ristorante porterebbero anche i giovani neozelandesi a soffrire di isolamento e solitudine. Tanto che pure i ventenni hanno nostalgia dei bei tempi andati, quando ci si incontrava al pub per bere una birra e chiacchierare e tutti si conoscevano. «Sappiamo che i ragazzi non hanno soldi, quindi nel nostro gruppo web organizziamo una giornata al mare in cui tutti possono semplicemente rilassarsi, o appuntamenti per incontrarsi al parco quando si porta fuori il cane» ha detto Aislabie al sito Stuff.

L'ultimo colpo all'aura di felicità del Paese è arrivato a fine agosto con la notizia della morte improvvisa di un popolare presentatore televisivo neozelandese, il 48enne Greg Boyed, che ha portato il Paese a confrontarsi con una malattia tanto diffusa quanto devastante, la depressione. Secondo la New Zealand Health Survey nel 2016/2017 è stata diagnosticata a 640.000 adulti, il 16,7 per cento della popolazione, contro il 10,4 per cento di un decennio fa. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i maschi dopo le malattie cardiache, e tra i 15-19enni è più diffuso che in tutti i Paesi Ocse.

In fondo la felicità è una sensazione impalpabile

e misteriosa. E, sembra di capire, sfugge totalmente alle classifiche. Che nel caso della Nuova Zelanda potrebbero avere addirittura contributo a peggiorare la vita di chi, in questo Paese da cartolina, ci vive da sempre.

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