MilanoUno dei regali - e quando sennò - se lo sarebbero fatto sotto Natale. Un milione di euro distratto dal versamento che dalla Fondazione San Raffaele, il 23 e il 24 dicembre del 2008, finisce nelle casse della «Metodo srl», e poi in quelle della «Mtb» come anticipo sullacquisto di un immobile in Cile. Peccato che quelloperazione - secondo la Procura di Milano - non sia mai esistita. False fatturazioni. Fondi neri. Ad aprire il «pacco dono», Mario Cal (vicepresidente della Fondazione morto suicida il 18 luglio scorso), gli imprenditori Gianluca Zammarchi e Andrea Bezziccheri (soci della «Metodo», entrambi indagati), e Pierangelo Daccò, potente uomo daffari con famiglia a Lodi e residenza a Londra, grande tessitore di relazioni, imprenditore nel settore dei servizi ospedalieri, vicino a Comunione e Liberazione, finito ora in carcere con laccusa di concorso in bancarotta per il crac dellimpero di via Olgettina, travolto da un buco di bilancio che sfiora il miliardo e mezzo di euro. Daccò è stato fermato martedì sera, tradito da una telefonata che - secondo i magistrati - ne avrebbe testimoniato lintenzione di partire per un viaggio daffari in Israele. Ed evitando così guai con la giustizia. «È sereno e non voleva assolutamente fuggire», spiega il suo legale, lavvocato Giampiero Biancolella. Ma la svolta nellindagine dei magistrati milanesi è chiara. Dietro il fallimento del San Raffaele ci sarebbe un sistema collaudato di fornitori pagati attraverso sovrafatturazioni, milioni e milioni di euro che escono dalla clinica e tornano in contanti (e in nero) ai vertici dellospedale, affidati da Cal a Daccò, e la cui destinazione è ancora da chiarire. Uno schema ammesso da Pierino Zammarchi (indagato), limprenditore sentito martedì in Procura, e che avrebbe raccontato di una «retrocessione» da 700mila euro. Ma il sospetto è che così facessero in molti. E, sullo sfondo, che i fondi neri siano serviti anche a «oliare» la politica.
Ieri, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria della Gdf hanno eseguito 14 perquisizioni: negli uffici, nelle abitazioni e perfino nelle due barche riconducibili al consulente finito in carcere (la «Amerika-London» e la «Ad maiora»), ai suoi collaboratori, alle sue società, ma anche allabitazione e allufficio di don Verzè (indagato) e della sua segretaria. I militari cercano «documenti, appunti, agende e atti - si legge nel decreto di perquisizione - relativi alle operazioni commerciali, economiche, finanziarie attraverso le quali nel tempo sono stati sottratti ingenti fondi» dalla Fondazione Monte Tabor, compresi «documenti relativi alle società estere tramite le quali» il denaro è finito «su conti esteri». Ma nel documento firmato dai pm, oltre allimmobile «fantasma» in Cile, ci sono altre due operazioni sospette. Come i due milioni di euro pagati dalla Fondazione (che aveva già acquistato un aereo) in ragione di una «consulenza commerciale» per la «ricerca sul mercato di un velivolo marca Bombardier modello Global Express». Due milioni «giustificati fittiziamente e maliziosamente» che da via Olgettina - con laccordo di don Verzè, Cal, e lex direttore amministrativo Mario Valsecchi - sono andati alla «Finraf spa», poi alla «Airviaggi srl», quindi alla «Assion», per finire alla società «Euroworldwide», dietro cui ci sarebbe sempre Daccò. O di nuovo, una strana - e apparentemente «senza alcun interesse per lente erogante», sottolineano ancora i magistrati - operazione da mezzo milione di euro pagati dal San Raffaele alla «Hermann Holding», riconducibile ancora una volta a Daccò. Più precisamente, 510mila euro che si perdono apparentemente nel nulla.
In totale, sei indagati di concorso in bancarotta fraudolenta e 3 milioni e mezzo di euro spariti dalle casse della Fondazione (e fin qui individuati dai pm), mentre è in corso un concordato preventivo tuttaltro che in discesa davanti al Tribunale fallimentare. Ma, è il sospetto degli inquirenti, si tratterebbe solo delle briciole. Il pozzo scavato per nascondere i fondi neri, e in cui è precipitato il San Raffaele, potrebbe essere molto più profondo.
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