Cultura e Spettacoli

Da Turner a Pollock la lezione di Arcangeli

Al Mar di Ravenna i pittori preferiti dal grande studioso che rinnovò la critica d’arte del Novecento

Per come finì uno dei saggi più importanti della sua carriera di critico, Gli ultimi naturalisti, pubblicato su Paragone del novembre del 1954, Francesco Arcangeli poteva aver varcato più di un confine. «Quello che so di certo - scrisse nella chiusa del testo - è dell’umanità del loro lavoro: non sono più soli, perché, nell’intimo del cuore, non hanno orgoglio. Cercano un rapporto, già ne stanno vivendo; e c’è chi potrà chiamare quello che qui si è chiamato “natura”, amore... ». Si parla di Morlotti, di Mandelli, di Romiti, di Pulga, di Moreni, dei pittori che hanno ritrovato il fondo umano di una sorta di impressionismo estremo, totale fino a confondersi con un gesto della vita: è l’Informale dei padani, dei «lombardi». Roberto Longhi, il professore di storia dell’arte che vent’anni prima l’aveva attratto nella sua disciplina con una «chiamata quasi irresistibile», allora direttore della rivista, gli disse che con quel saggio Arcangeli «era uscito dalla storia dell’arte».
Studente di lettere all’università, Arcangeli progettava di laurearsi con una tesi su Guicciardini. «Ero matricola, nel ’34; e sul finire di quell’anno (...) ascoltai la prolusione di Roberto Longhi, nuovo titolare della cattedra di storia dell’arte». In fondo all’aula, gremitissima, Longhi, alto, tutto nero, leggeva i suoi mirabili Momenti della pittura bolognese. «A distanza di molti anni, - avrebbe scritto nel 1969 - mi illudo che, coscientemente e per la prima volta, io avessi tentato, in quelle pagine, uno sforzo iniziale per far coincidere in me stesso la storia dell’arte e la critica d’arte».
Arcangeli fece di più. Volle far coincidere la critica d’arte e la sua vita. Fece molto di più che «uscire dalla storia dell’arte». E allora nacque la sua visione unica di una storia dell’arte che abbraccia l’uomo e i suoi luoghi, il suo pensare, il suo soffrire, il suo essere, il suo esserci, come diceva lui. Il romanticismo si allargò e si ampliò fino a comprendere per la prima volta gli inglesi, da Turner a Constable, a Reynolds; l’Informale divenne una sorta di chiave di lettura capace di svelare nel vecchio Monet, che annegava nel colore delle Ninfee, gli anticipi del sentire novecentesco. Sono i «tramandi», come diceva con la parola felice che dette alla sua storia una tessitura profonda di legami e rapporti, accordi sotterranei: nel tempo, sopra il tempo, al di là.
Nel 1970 lasciò il capolavoro di scrittore e di critico dando forma alla sua idea di Natura ed Espressione nell’arte bolognese-emiliana con alcune delle sue pagine più intense, momenti indimenticabili di privilegiato veggente che sempre resta nell’angolo dell’umiltà, spesso travolto dall’ «ansia talvolta struggente di non essere all’altezza».
La rassegna «Turner, Monet Pollock, dal romanticismo all’Informale. Omaggio a Francesco Arcangeli» al Mar di Ravenna (a cura di Claudio Spadoni) ridà immagini alle sue parole, come quando Momi - così lo chiamava chi gli voleva bene - faceva lezione. Si incomincia con lo «scandaglio profondo» dei romantici inglesi, una coppia di luminosissimi ritratti di Joshua Reynolds e Thomas Gainsborough, si continua con Courbet e Corot, si giunge a Monet passando per Antonio Fontanesi, pittore che «appartiene di diritto al grande Romanticismo europeo». Poi si percorre il Novecento, dalla rabbia di Chaim Soutine, a Permeke, a Carrà, alla preziosa raccolta di sette De Pisis, cui Arcangeli consacrò pagine mirabili. Dieci Morandi, tra carte e olii, formano la parete del suo destino. La storia è nota. Ad Arcangeli era stata commissionata una monografia sul pittore. 199 fogli dattiloscritti cui il critico confidava la sua visione assoluta del bolognese all’interno dell'enorme respiro che sentiva nella sua pittura; 199 fogli che verranno a poco a poco ricusati, corretti, limati, emendati da Morandi. Per Arcangeli cominciò il tormento, l’attesa, il bussare ad una porta che non venne più aperta. La «critica dell’arte» aveva soffocato vita e amicizia. Era un ulteriore «uscire», che rende la figura di Arcangeli e le sue intuizioni critiche un avvenimento unico, in questa disciplina spesso avara, grigiastra, ingenerosa.
LA MOSTRA
Turner Monet Pollock. Omaggio a Francesco Arcangeli.

Ravenna, Museo d’arte della città. Fino al 23 luglio

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