Tutti in posa per Hopper È la mostra show

C on Edward Hopper arriva a Milano anche un nuovo modo di organizzare e produrre le mostre: ci riferiamo alle «spettacolari» mostre dei «grandi numeri», come si è preso a chiamarle negli ultimi anni, periodo che ha visto fiorire un inedito e a volte colossale business dell’arte e degli eventi artistici. E con Hopper arriva pure un nuovo modo di attirare i visitatori, paradossalmente ancora prima che l’esposizione apra i battenti. I milanesi potranno sperimentare questa ingegnosa idea di marketing oggi stesso, dalle 10 alle 20: in piazzetta Reale sarà infatti allestito un set fotografico molto «hopperiano» dove chiunque potrà farsi fotografare, di fianco o con in mano una riproduzione di un quadro dell’artista. I cinque soggetti più «hopperianamente espressivi» saranno utilizzati per i manifesti «Il mio artista preferito? Edward Hopper!» che tappezzeranno la città da luglio fino a ottobre, quando, il 15, la mostra verrà finalmente aperta. «Lo shooting -spiega Emmanuele Emanuele, ideatore e organizzatore della mostra nonché presidente della Fondazione Roma- è un’occasione per avvicinare in maniera diversa le persone alla cultura, ma anche per sentire in anteprima il “polso” dell’interesse del pubblico».
Si tratta della più grande esposizione di Edward Hopper mai realizzata in Italia: più di 160 opere, e dopo Roma, dove arriverà il 16 febbraio, passerà a Losanna (ma in Svizzera niente «shooting» fotografico). Una delle particolarità della mostra è che è stata realizzata con una joint venture pubblico-privato, una formula che anche nei prossimi anni - inevitabilmente lacunosi in fatto di finanziamenti pubblici - potrebbe garantire il realizzarsi di buone cose in campo artistico, e anche miracoli, come il possibile recupero del Planetario. «Due anni di lavoro, due progetti autonomi -ci spiega Emanuele-. E alla fine Milano avrà il suo Hopper sostenuto dal Comune, cioè da soldi pubblici, e Roma il suo, portato dalla Fondazione Roma, che è del tutto privata. Ma le opere, il catalogo, gli organizzatori e alcuni fornitori sono uguali in tutti e due i casi. Questo ha permesso di tener sotto controllo alcune spese. Ricordo che la Fondazione Roma ha organizzato anche la mostra sul pittore giapponese Hiroshige, che ieri ha superato i 70mila visitatori. Non è impossibile fare in modo che la cultura sia di tutti, e non solo di pochi, e anche ottenere un buon bilancio».
Ma veniamo a Hopper. C’è un’espressione davvero perfetta - non se ne trovano molte in giro - che ricorre spesso quando si parla di Edward Hopper: «la luce della solitudine».

Come può la solitudine - condizione fredda, grigia, opaca - avere una «luce»? Be’, nel caso quasi miracoloso e unico di Edward Hopper - il pittore che ha letteralmente trasfigurato l’America «solitaria» del Novecento, quella che poi è stata ripresa in una quantità quasi infinita di romanzi, film e fotografie (da Henry Roth a Gus Van Sant, da Nabokov a McInerney, da Francesca Woodman a Nan Goldin) - ecco, nel suo caso la luce dei quadri riesce ad addolcire la solitudine non solo di chi li guarda, ma addirittura dei soggetti stessi ritratti: donne sole in stanze di motel, uomini soli, la notte, al banco di un bar, coppie mute ritratte in salotti o verande desolate, ma ciascuno sempre circondato da quella particolarissima luce maliosa, calda, uniforme, che in qualche modo riscatta e perdona. È una luce di tenerezza.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica